sabato 11 febbraio 2023
Caritas Ambrosiana: cala la presenza in strada ma crescono i rischi di rapine e violenze, clienti più aggressivi. Somaschi: aumenta in alloggi privati e centri massaggi. E uscirne è più difficile
Gli operatori dell'unità di strada "Avenida" di Caritas Ambrosiana incontrano una vittima della tratta

Gli operatori dell'unità di strada "Avenida" di Caritas Ambrosiana incontrano una vittima della tratta - foto Caritas Ambrosiana / F. Costadura

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«La prostituzione sulla strada resiste ma è in calo, già da prima della pandemia. Sono invece in aumento, nel post pandemia, i rischi di violenza sulle persone prostituite: dalle rapine ai maltrattamenti e alle violenze da parte dei clienti, che si fanno sempre più aggressivi. Intanto: si sono abbassati i prezzi delle prestazioni. E questo costringe a farne di più per accontentare gli sfruttatori. Mentre la pandemia ha esasperato le condizioni di povertà, marginalità e fragilità delle persone prostituite, rendendole ancora più deboli e ricattabili da parte degli sfruttatori come dei clienti, che sempre più spesso pretendono rapporti non protetti, ai quali diventa più difficile dire di no».

Parola di Nadia Folli, dell’Area Tratta di Caritas Ambrosiana, impegnata dal 2002 nell’unità di strada “Avenida”, che dal 1994 esce due volte alla settimana sulle strade di Milano per incontrare donne, uomini e transessuali e aiutarli a rompere le catene dello sfruttamento.

A non calare è invece la prostituzione indoor «che a Milano significa appartamenti privati e centri massaggi», incalza Isabella Escalante, responsabile del Servizio emersione vittime di tratta e sfruttamento di Fondazione Somaschi. «Durante il Covid, mentre i centri chiudevano, gli annunci online di chi si prostituisce in casa non si sono mai interrotti. E dopo il Covid si sono moltiplicati: chi si prostituiva in strada ha iniziato a farlo anche, o solo, indoor, dove sono arrivati molti clienti prima sulla strada – riprende Escalante, che lavora con Fondazione Somaschi dal 2004 –. La pandemia ha aggravato il loro isolamento, ha reso queste persone ancora più invisibili e in balia degli sfruttatori, rendendo più ardui i già difficili percorsi di emersione dallo sfruttamento».

Folli e Escalante sono due dei relatori al convegno Invisibili. Donne vittime di tratta organizzato da Caritas Ambrosiana e Pime con Ucsi Lombardia, svoltosi mercoledì scorso a Milano nella Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta. A loro Avvenire ha chiesto di comporre il mosaico di una realtà che è “invisibile” anzitutto a causa della nostra indifferenza. Chi si prostituisce sulle strade è sotto i nostri occhi. Appartamenti e centri massaggi stanno in condomini dove non mancano vicini di casa. «E proprio da loro, come dai clienti, vengono a volte segnalazioni di situazioni da contattare», sottolinea Escalante.

«In loro vediamo non solo la vittima, ma la persona in grado di emanciparsi»

«Nel 2018, sulle strade di Milano, abbiamo incontrato 250 persone, l’80% donne, più della metà dell’Est Europa, con 800 contatti, cioè singoli incontri sulla strada – riprende Folli. –. Nel 2019 le persone incontrate sono state 170 e 700 i contatti. Nel 2022, come nel 2021, abbiamo incontrato 120 persone. Le donne sono sempre l’80%, il 60% rumene e il 15% albanesi. È cresciuta la presenza di persone transessuali provenienti dal Sudamerica, in particolare dal Perù. È quasi scomparsa invece la prostituzione nigeriana, e stiamo cercando di capire dove queste donne siano finite.

In queste persone si intrecciano problemi e fragilità molteplici: molte sono giovani madri, che a volte hanno i bambini qui con sé; a volte, in particolare fra le persone transessuali, coesistono problemi di alcol e di droga. Il turnover è altissimo e rende più difficile incontrarle e costruire relazioni di dialogo e fiducia, indispensabili per aiutarle a riappropriarsi della loro vita e dei loro diritti. In loro vediamo non solo la vittima o la persona con problemi, ma la persona che ha mille risorse per uscire dallo sfruttamento e ricostruirsi una vita». In Lombardia sono due i progetti anti-tratta sostenuti dalla Regione: “Derive e Approdi”, al quale partecipa Avenida, e “Mettiamo le Ali”. «Fra luglio 2021 e settembre 2022 le unità di strada impegnate nei due progetti – ricorda Folli – hanno fatto 796 uscite per un totale di 1.569 persone incontrate».

«Indoor, condizione durissima: così spazio di vita e di sfruttamento coincidono»

Fondazione Somaschi – che ha unità ad hoc sui fronti della prostituzione di strada, dello sfruttamento lavorativo e dell’accattonaggio forzoso – ha un’équipe dedicata al contatto e all’emersione delle vittime di tratta e sfruttamento nella prostituzione indoor a Milano. «Negli appartamenti privati ci sono donne rumene, cinesi, sudamericane, e transessuali peruviane e brasiliane, che contattiamo usando i numeri di telefono pubblicati nei siti di annunci e in quelli di recensioni dei clienti – spiega Escalante –. Chiamiamo e spieghiamo come possiamo offrire loro informazioni di tipo sanitario e legale, aiuto nei documenti o nell’accesso alle cure. Lasciamo il nostro numero per essere ricontattati. Ma perché possa nascere un percorso di uscita dallo sfruttamento serve passare dal contatto telefonico all’incontro di persona, nei loro alloggi o altrove.

La loro condizione è durissima: spazio di vita e luogo dello sfruttamento coincidono, non stacchi mai, l’impatto sul corpo e la psiche fortissimo. Avere la fiducia di persone costrette a vivere nella paura e nell’inganno è molto difficile, e il turnover ancora più alto che sulla strada rende arduo costruire rapporti. Nei centri massaggi, dove il primo contatto è una visita di persona, il 90% sono cinesi e il 10% thailandesi. Ci muoviamo sempre con la presenza di un mediatore linguistico e culturale. Nell’arco di un anno, a Milano, riusciamo a fare 400 contatti, un altro centinaio fra Crema, Lecco e Lodi. Nell’indoor solo l’1% dei contatti riesce a diventare percorso di uscita dallo sfruttamento, col 40% riusciamo almeno a fare attività come accompagnamenti sanitari, visite domiciliari, colloqui. A entrare nei programmi di protezione, sono pochissime. Ma non ci arrendiamo».

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