lunedì 15 maggio 2023
L'équipe di Gino Gerosa è riuscita a fare con una procedura mai usata prima: far battere nel torace di un paziente un cuore rimasto per 20 minuti senza attività elettrica. Primo caso al mondo
équipe al lavoro all'Ospedale di Padova

équipe al lavoro all'Ospedale di Padova - ANSA / Ufficio stampa Azienda Ospedale Università di Padova

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Un cuore fermo da 20 minuti, da un donatore ormai deceduto, ha ridato la vita a un uomo che attendeva il trapianto, condannato altrimenti dalla malattia cardiaca. Non è fanta-medicina, ma ciò che l'équipe del professor Gino Gerosa, del "Centro Gallucci" di Padova, è riuscita a fare con una procedura mai usata prima: far battere nuovamente nel torace di un paziente un cuore rimasto per 20 minuti senza alcuna attività elettrica. Il primo caso in Italia, il primo al mondo con tempi di riattivazione del muscolo cardiaco così lunghi.

Il paziente, un 45enne, già operato in età pediatrica, e in in lista d'attesa da 2 anni, resta in terapia intensiva, ma il decorso è regolare, "il cuore funziona molto, molto bene" ha assicurato Gerosa.

«L'eccezionalità sta proprio nei tempi — ha spiegato Gerosa -. Nel mondo il trapianto di cuore da donatore in arresto cardiocircolatorio è realtà già da un po' ma è autorizzato dopo 3-5 minuti dalla constatazione di elettrocardiogramma piatto. In Italia la legge impone di aspettarne 20». Tempi così lunghi che si pensava non si potesse fare, «ma noi - ha aggiunto Gerosa - ci abbiamo creduto e, una volta avuta l'autorizzazione dal Centro nazionale trapianti, ci siamo riusciti al primo tentativo».

Il donatore era un uomo colpito da 'morte cardiaca', con contestuali, irreversibili danni cerebrali, da rendere vana ogni altra procedura terapeutica.

È importante ribadire - sottolinea il Centro Nazionale Trapianti - che la morte di un individuo è unica e coincide con la totale e irreversibile cessazione di tutte le funzioni cerebrali. Infatti, per determinare la morte con criteri cardiologici occorre osservare un'assenza completa di battito cardiaco e di circolo per almeno il tempo necessario perché si abbia con certezza la necrosi encefalica tale da determinare la perdita irreversibile di tutte le funzioni encefaliche.

Per questo, spiega il Centro Nazionale Trapianti, la donazione a cuore fermo può avvenire solo dopo che un medico abbia certificato la morte mediante l'esecuzione di un elettro-cardiogramma protratto per un tempo di almeno 20 minuti (nella maggior parte dei Paesi europei questo tempo è di 5 minuti). Questo è considerato il tempo di anossia, trascorso il quale si considera vi è certamente la morte dell'individuo.

Una nuova frontiera varcata dalla medicina. E un'altra 'prima' in campo cardiochirurgico dai chirurghi padovani. Come quella notte del 1995, quando Vincenzo Gallucci si precipitò all'ospedale Ca' Foncello di Treviso per prelevare il cuore di un giovane donatore - morto in un incidente - e reimpiantò poi a Padova nel petto del falegname Ilario Lazzari. La storia si è ripetuta, sulla stessa direttrice Padova-Treviso.

«Questo risultato straordinario - ha affermato Gino Gerosa, pioniere degli studi sul cuore artificiale - potrebbe portare ad un incremento del 30% del numero di organi disponibili per i pazienti in lista di attesa». Si tratta, tuttavia, «di una goccia d'acqua aggiunta in quel secchiello che ci serve a dare risposte terapeutiche ai pazienti affetti da scompenso cardiaco terminale che sono in attesa di un cuore».

La vera soluzione, conclude il medico, «giungerà quando avremo a disposizione un cuore artificiale, totale, italiano. La risposta sarà un cuore meccanico, prontamente disponibile, sullo scaffale. Allora non saremo più costretti ad aspettare la morte di un donatore per dare una soluzione a chi attende il trapianto».

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