giovedì 16 febbraio 2023
Rubato alla metà del ’900, recuperato dai Carabinieri nel 2021, il capolavoro di Marco d’Oggiono torna in Pinacoteca Ambrosiana dopo un intervento di carattere conservativo ed estetico
E' tornata alla Pinacoteca Ambrosiana la Madonna del latte di Marco d'Oggiono (particolare)

E' tornata alla Pinacoteca Ambrosiana la Madonna del latte di Marco d'Oggiono (particolare) - Archivio

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Bentornato Marco d’Oggiono. Bentornata Madonna del latte. Questa è un’occasione di festa per la Pinacoteca Ambrosiana. Che può finalmente riabbracciare, restaurato, e offrire nuovamente al pubblico questo capolavoro «dalla storia antica e, in tempi recenti, avventurosa», ha ricordato Lorenzo Ornaghi, presidente della Veneranda Biblioteca Ambrosiana. Si tratta infatti di un olio su tavola che faceva parte della raccolta di quadri acquistati negli anni dal cardinale Federico Borromeo, e che questi donò nel 1618 alla Pinacoteca Ambrosiana, a favore dell’erigenda Accademia.

Da allora è sempre stato esposto in Pinacoteca, dove la sua presenza, nel 1951, è riportata nella guida redatta dal prefetto Giovanni Galbiati. Trafugato poco dopo dal museo, è stato recuperato e restituito nel 2021 dall’intervento dei Carabinieri del Nucleo per la Tutela del patrimonio culturale di Monza – dopo che un commerciante d’arte milanese si era rivolto al Nucleo per accertarne la provenienza. L’ultimo atto: il restauro realizzato dal Laboratorio “Luigi Parma” di Milano grazie al sostegno di Arte Generali. E la restituzione al pubblico, con la Madonna del latte esposta nella Sala 3 fra altri capolavori del Rinascimento lombardo e dello stesso Marco d’Oggiono.

«Questo è un evento sentito come importante non solo per la nostra istituzione ma per l’intera città di Milano», ha affermato monsignor Marco Ballarini, prefetto dell’Ambrosiana, prima di ringraziare i Carabinieri, i restauratori e il mecenate – al quale ha dato voce Cristina Resti, Art Expert di Arte Generali, mentre Anna Parma, del Laboratorio “Luigi Parma”, ha illustrato l’opera di restauro conservativo ed estetico effettuato su questo olio su tavola di 50 per 39 centimetri, «con un intervento che ci ha permesso di ritrovare la tavolozza di Marco d’Oggiono».

Monsignor Ballarini, ricordando come il suo mandato sia ormai in scadenza, ha colto l’occasione per ringraziare quanti hanno collaborato con lui in questi cinque anni. Fra loro monsignor Alberto Rocca, direttore della Pinacoteca Ambrosiana, il quale ha definito «motivo di grande gioia» il ritorno a casa del dipinto. «Non sappiamo bene come sia stato sottratto, forse è accaduto durante una serie di lavori importanti. Ma grazie ai Carabinieri, è tornato a disposizione di tutti».

Si rinnova e rilancia così la vocazione di questa istituzione: Federico Borromeo «non era un collezionista» come lo intendiamo oggi, «egli volle l’Ambrosiana “per la gloria di Dio e per la pubblica utilità”. E non solo di Milano e dell’Italia, ma anche delle “nazioni foreste”», ha sottolineato monsignor Rocca.

Ed eccoci di fronte a questa Madonna del latte. «Il dipinto documenta la fortuna e diffusione delle invenzioni da parte di Leonardo di “Madonne col Bambino” nell’ambito della sua scuola che vede come protagonisti, fino dal 1490, due suoi allievi, Boltraffio e Marco d’Oggiono», spiega il professor Giulio Bora, nella scheda storico-artistica dell’opera diffusa ieri all’incontro di presentazione del restauro.

Il milanese Marco d’Oggiono (1470 circa-1530 circa) si cimentò più volte con questo soggetto, e con grande fortuna presso la committenza. L’esemplare dell’Ambrosiana, eseguito «verosimilmente verso la metà del secondo decennio del Cinquecento», «ricalca in parte» un precedente modello dello stesso Marco, ora conservato al Louvre. Vi sono infatti «sostanziali differenze di stesura e di invenzione»: fra le varianti, «la peculiare presenza del fondale montagnoso e lacustre».

«La realizzazione del Bambino rivolto verso il riguardante sorretto dalle mani della Vergine risulta essere la fedele riproposizione di quella del Louvre, certamente condotta riutilizzando il medesimo modello o cartone», prosegue Bora. «Sostanzialmente variata è invece la soluzione del volto della Vergine, qui reso frontalmente e, come nel Bambino, anche in questo caso mostrato in un dialogo diretto con il riguardante e rilevato in un’espressione assorta e sospesa». Dunque, non resta che varcare la soglia dell’Ambrosiana, salire alla Sala 3. Guardare. E offrirsi allo sguardo accogliente e profondo di quella Madre e di quel Bambino, ancora capaci, dopo cinque secoli, di arrivarti al cuore. E di parlarti senza aprire bocca.


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