lunedì 20 maggio 2013
Partendo da un traffico di rottami investigatori italiani e inglesi hanno scoperto un giro d’affari milionario tra i porti del nostro Paese e quelli del Corno d’Africa. I clan calabresi e quelli pugliesi inviano scarti tossici. E i signori della guerra hanno limitato gli assalti alle navi per non attirare l’attenzione. (di Nello Scavo)
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Venticinque navi catturate nel 2011, cinque dirottate nel 2012. Solo tre attacchi quest’anno. A cosa si deve l’inatteso indietro tutta dei corsari somali? A Londra, la piazza finanziaria crocevia dei proventi dai traffici tossici, hanno una risposta precisa. «È anche merito delle mafie italiane», assicura l’investigatore inglese che ha lavorato gomito a gomito con i poliziotti italiani i quali, partendo da un giro di autoricambi illegali, hanno scoperto i legami tra i boss nostrani e i signori della guerra.L’inviato speciale dell’Unione europea per il Corno d’Africa, il diplomatico greco Alexander Rondos, nel corso di conversazioni non ufficiali ha lasciato intendere che uomini dell’intelligence stanno investigando da almeno un anno sul coinvolgimento di clan italiani nella "stabilizzazione" di Puntland e Somaliland, le province pressoché autonome a Nord di Mogadiscio. In altre parole, ci sarebbero molti indizi circa un coinvolgimento diretto della ’ndrangheta calabrese e della "sacra corona unita" pugliese, che «dai signori della guerra somali – conferma una fonte vicina all’inviato dell’Ue – hanno ottenuto il lasciapassare per poter scaricare rifiuti nel Paese, in cambio di un fiume di dollari e di un costante approvvigionamento di armi comprate sul mercato nero dei Balcani». Un business redditizio per entrambi, ma che necessità di non attirare l’attenzione delle forze navali che pattugliano il Golfo di Aden.Le autorità somale hanno sempre smentito che il Paese fosse diventato la pattumiera tossica di Europa, Penisola Arabica, di alcune delle tigri asiatiche e perfino di altre regioni africane. Pochi giorni fa, però, è arrivata la conferma ufficiale. Nel corso di una riunione a porte chiuse Hassan Sheikh Mohamud, presidente della Somalia dal settembre 2012, ha fatto sapere ai leader dei Paesi del "gruppo di contatto" sul Corno d’Africa, che «il tempo dello sfruttamento delle acque e della costa somala è finito». E non è solo questione di pesca illegale. «Le attività criminali – ha scandito – devono fermarsi, a cominciare dai rifiuti tossici».Nessuno si aspettava una reazione di questo tenore. Ma la situazione, con terribili ricadute sulla salute delle popolazioni, sta degenerando. Nell’ospedale di Mogadiscio i medici riscontrano «orribili malformazioni e mutazioni genetiche nei bambini», riferisce un diplomatico delle Nazioni Unite mentre ci mostra alcune raccapriccianti immagini di bambini affetti da patologie sconosciute ai medici locali. Fino ad ora, però, le condizioni di perdurante instabilità hanno impedito che si organizzasse una ricognizione basata su metodi da ricerca scientifica. «Mi aspetto che la comunità internazionale si impegni a rispettare immediatamente le nostre acque», ha proseguito Hassan Sheikh Mohamud nel corso del vertice a porte chiuse ospitato a New York lo scorso 29 aprile.A confermare che le rotte illegali vedono l’Italia tra le piattaforme logistiche per la raccolta e l’invio di veleni ci sono due inchieste, ancora aperte, a cui hanno lavorato anche le autorità inglesi. Le indagini "Bakara" e "Boarding Pass", condotte dalla Procura di Modica (Ragusa) e dalle Direzioni distrettuali antimafia di Catania e Firenze hanno portato all’arresto di 23 persone «facenti capo a due organizzazioni transnazionali». Grazie al contributo dell’Ufficio antifrode dell’Agenzia delle dogane, con la collaborazione di 007 di vari Paesi, indagando su una rotta di traffici illeciti di rifiuti derivanti da autovetture in disuso, si è scoperto che l’accordo tra boss italiani e signori della guerra somali va ben al di là della ferraglia e del traffico di persone, che da solo movimentava enormi flussi di denaro, «stimati – si legge negli atti dell’inchiesta – in oltre 25 milioni di euro all’anno».Negli anni scorsi al largo delle coste somale si è combattuta una battaglia navale come non se n’erano mai viste prima. Con i minuscoli barchini dei pirati somali che per 576 volte hanno assaltato i giganteschi bastimenti che attraversavano il Golfo di Aden. Dal 2009 la missione navale europea anti-pirateria aveva registrato circa 170 attacchi all’anno, oltre una decina al mese. L’anno scorso, 35 in totale. Nel biennio 2011-2012 nelle mani dei bucanieri sono finiti 541 ostaggi. La missione "Atalanta", prorogata sino a dicembre 2014, consente alle marine militari europee di intervenire anche a terra per colpire le basi dei pirati (entro una profondità massima di 2 km dalla costa). I blitz delle forze speciali hanno reso la vita più difficile ai bucanieri, ma il limite di penetrabilità territoriale sta in realtà spostando le discariche a ridosso dei villaggi. Una scelta dettata anche dalla necessità di evitare che si ripeta quanto accaduto nel 2005. Il disastroso tsunami che devastò le aree costiere dell’Oceano Indiano, spazzò via tonnellate di sabbia dalle coste somale, scoperchiando decine di misteriosi container e silos piombati dei quali ad oggi nessuno conosce il contenuto. Alcune organizzazioni non governative hanno solo potuto registrare altissimi livelli di radioattività, ma la situazione del Paese impedisce qualsiasi bonifica.Nel memorandum consegnato a Unione Europea, Nato, Stati Uniti, Russia e Giappone, il presidente somalo è stato categorico: «Voi avete una responsabilità morale e legale – si legge nel documento che <+corsivo>Avvenire<+tondo> ha potuto visionare –, dovete assicurarci che fermerete lo scarico dei rifiuti tossici nel nostro territorio e nel nostro mare».
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