giovedì 17 aprile 2014
Tempo pasquale, la sete di riscatto nel racconto di tre cappellani. (Umberto Folena)
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Tre cappellani di tre carceri del Nord e del Sud. E le loro tre storie di perdono. Storie di morte e risurre­zione, storie nate del dolore e nell’ingiustizia che poi, a poco a poco, sanno aprirsi alla speranza. Percorsi mai facili, spesso tortuosi, sempre dolorosi. Perché per­donare gli altri, per un cuore generoso ed educato, è dif­ficile ma non impossibile: accade. Più arduo è 'perdona­re' Dio, quando lo si 'prega' con la preghiera straziante di chi gli urla la propria rabbia, come fa il protagonista del­la storia narrata da don Virginio Balducchi: «Perché hai permesso di uccidessi? Perché non mi hai fermato?». La pace è assai più difficile, quando deve fare i conti con il dono più meraviglioso e terribile di Dio all’uomo: la libertà. Ma difficilissimo, quasi impossibile è perdonare se stessi, riconciliarsi con il proprio passato. Terribile è il perdono – per il protagonista della storia narrata da don Marco Pozza – da negare o concedere a tua madre che ti ha ab­bandonato accanto a un cassonetto a quindici giorni di vita, condannandoti a un’esistenza a metà, ad affetti am­putati, a un cuore zoppo. E difficile, a volte, è per le istitu­zioni fidarsi, accettando che 'criminali incalliti' decida­no per un diverso futuro, come i detenuti della sezione d’alta sicurezza della storia narrata da don Raffaele Sar­no. Quando però il perdono zampilla, la festa è immen­sa. Chiamiamola Pasqua...
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