martedì 6 luglio 2021
Sottopagati, senza pause, vittime di caporali senza scrupoli. Sono le donne a pagare il prezzo più alto
Braccianti al lavoro

Braccianti al lavoro - Ansa

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Ore 14, il termometro dell’auto segna 36 gradi. Il sole è a picco ma nel campo che stiamo osservando alcuni braccianti stanno caricando cocomeri su un rimorchio trainato da un trattore. Siamo in località Fogliano, nel Comune di Latina, e i lavoratori sono indiani sikh e africani. Per loro evidentemente nessuna pausa nelle ore più calde come deciso dalla Puglia e da alcuni comuni dopo la drammatica morte di Camara Fantamadi, nelle campagne del Brindisino.

Qui nell’Agro Pontino nessuna pausa. Lo abbiamo potuto vedere nel giro nelle campagne accompagnati da Marco Omizzolo, docente di sociopolitologia delle migrazioni dell’Università La Sapienza di Roma, e da anni al fianco dei braccianti per rivendicare i loro diritti. In primo luogo in questi giorni torridi il diritto alla salute. Eppure oggi tra le 13 e le 15 abbiamo visto braccianti sotto il sole e piegati in due raccogliere melanzane sempre a Foglia- no e a Borgo San Donato (Latina), zucchine a Molella, frazione di Sabaudia, e ancora cocomeri sulla Migliara 56.

Decine di immigrati al lavoro, in svariate aziende agricole. Alcune già finite sotto inchiesta per sfruttamento dei lavoratori, anche con arresti, ma dove lo sfruttamento continua, ancor di più durante pandemia e lockdown. Tanti turbanti sikh ma anche ragazzi subsahariani. Con evidenti rischi. «Pochi giorni fa a Latina un bracciante si è sentito male per il gran caldo – racconta Omizzolo –. Malgrado fosse in regola col permesso di soggiorno e col contratto, non hanno chiamato i soccorsi. Invece lo hanno costretto a tornare a casa in bicicletta da solo, 15 chilometri fino a Borgo Hermada», dove vive una grossa comunità indiana. Il nostro giro tra le campagne del Sud per raccontare lo sfruttamento al tempo del Covid-19 comincia da Sabaudia.


Il sociologo Omizzolo: aumento delle ore
causato anche dalla forte diminuzione
dei controlli durante il lockdown



Sotto il palazzo comunale una lunga fila di persone attende di essere vaccinata nell’ambulatorio mobile della Asl. Tra loro molti indiani, quelli col permesso di soggiorno e la tessera sanitaria. Per gli altri, gli irregolari, è partito un programma della Asl di Latina con la collaborazione di Emergency (vedi articolo sotto). Due braccianti che si sono appena vaccinati riconoscono Omizzolo e lo salutano. Uno di loro è il primo bracciante ad aver denunciato lo sfruttamento nel 2013.

Dopo il primo sciopero dei sikh del 18 aprile 2016, organizzato proprio grazie a Omizzolo, in un anno furono più di 150 i lavoratori che presentarono denuncia. Successivamente non meno di 30-40 l’anno. Nel 2020, nel pieno del lockdown sono state appena 3 per poi risalire negli ultimi mesi. Perché lo sfruttamento non è calato. Sono aumentate le ore di lavoro, anche 14 al giorno, anche di notte per poter essere presto sui mercati e spuntare i prezzi migliori. E sono scese le paghe, dai 4,5 euro l’ora, ottenuti grazie allo sciopero, a 3 euro, meno di un terzo di quanto prevede il contratto collettivo.

Aumentano i contratti in grigio dove vengono segnate 3-4 giornate di lavoro mentre in realtà sono 28. «L’aumento delle ore è stato causato dall’aumento della richiesta dei prodotti agricoli ma anche dalla forte diminuzione dei controlli durante il lockdown» spiega ancora la nostra guida. Malgrado questo, tra gennaio 2020 e maggio 2021 nella provincia di Latina l’Inps ha accertato un’evasione contributiva di quasi 7 milioni e mezzo di euro. Lo ha comunicato lo scorso 30 giugno alla Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati, in missione nella provincia di Latina. Un altro dato molto preoccupante, sempre riferito dal-l’Inps, riguarda le aziende agricole. Nella provincia sono più di 7mila ma appena 114 si sono iscritte alla rete del lavoro agricolo di qualità che nasce con l’intento di arginare il fenomeno del caporalato nel settore agricolo, dando vita ad una sorta di white list. Sono attualmente 4.506 le aziende italiane che hanno aderito. Troppo poche e ancor meno nell’Agro Pontino. La conferma che mentre la parte repressiva della legge anticaporalato, la 199 del 2016, sta funzionando molto bene, non è ancora attuata la parte della prevenzione.

Così l’illegalità si è aggravata in questo anno di emergenza sanitaria. Gurwinder Singh racconta: «Sono mesi che lavoro per 3,50 euro l’ora, anche se so che il mio contratto ne prevede 9 per lavorare 6 ore e mezza al giorno. E invece ne lavoro anche 14, domenica compresa. Ma non posso lamentarmi anche se il padrone non mi fornisce la mascherina che sono costretto a comprarmi. Molti italiani stanno morendo per il Covid-19 e non credo che la mia denuncia in questo periodo sarà ascoltata dal giudice o dalla polizia. Lo so che ho diritto ma ora sto in silenzio. Lo so che mi sfruttano, ma ora tanti italiani muoiono e nella mia cultura si deve dare una mano. E io ci provo».

La condizione è peggiorata ancor di più per le donne. In un’azienda di Sabaudia erano obbligate a parlare solo italiano anche tra di loro. Se parlavano in Punjabi venivano multate anche di 30 euro, quanto un giorno di lavoro... in nero. E lo sfruttamento riguarda anche le italiane. Sono, infatti, in crescita le donne che vengono dai paesi dei Lepini, l’entroterra pontino, spesso trasportate su furgoni da caporali bengalesi. E nel lockdown sono aumentati anche i pensionati 'assoldati' in nero per le raccolte straordinarie, 200-300 euro al mese per integrare pensioni molto basse. E sono cresciuti anche gli incidenti sul lavoro, ma vengono nascosti. Un bracciante che lavorava in una serra, dopo una caduta da quattro metri, malgrado le gravi ferite è stato portato via dai caporali e lasciato in un campo di patate a 8 chilometri di distanza. Ma ha avuto il coraggio di denunciare e ci sono indagini in corso.

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