martedì 6 dicembre 2016
Mercoledì varo della Manovra. Il capo dello Stato rinuncia alla visita a Milano. La Consulta il 24 gennaio decide sull'Italicum. Venerdì al via le consultazioni.
Mattarella frena: prima si cambia la legge elettorale
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È «inconcepibile» andare al voto subito con un sistema non omogeneo Camera-Senato. È il Sergio Mattarella che non ti aspetti. Costretto, a malincuore a rinunciare alla sua visita a Milano, mercoledì, per la Prima della Scala. Costretto a restare sul Colle per ricevere, si pensava già mercoledì sera, ma più probabilmente venerdì, le dimissioni di Matteo Renzi. Costretto ad assecondare l’accelerazione imposta al Senato sulla legge di Bilancio e ad aprire le consultazioni già questo fine settimana. Mentre - anche per guadagnare tempo e favorire il ritorno a quel clima più sereno che aveva invocato, dopo il primo incontro con Renzi - avrebbe preferito aprirle lunedì. Costretto, in definitiva, a mettere in campo fino in fondo quel suo potere di «persuasione» che la Costituzione gli affida, come aveva spiegato ai "piccoli" delle scuole medie ricevuti al Quirinale in piena campagna referendaria perché i "grandi" capissero. Perché è vero - come aveva detto loro - che «un arbitro quando i calciatori fanno i bravi neanche si vede», ma quando la partita diventa dura l’arbitro si vede eccome.

È questa è una crisi dura, che accelera e si complica al tempo stesso. Perché la fretta manifestata dal Senato (dal Pd, da M5S, dalla Lega) per il sì lampo alla Manovra non è un venire incontro alla richiesta del Colle di mettere al sicuro i conti al più presto. È piuttosto il tentativo, da parte dei tre leader più impazienti di andare allo show down del voto (Renzi, Grillo e Salvini) di portare fretta all’arbitro che in queste ore lavora, invece, a una soluzione non lacerante per porre rimedio a una crisi piena di incognite.

Martedì è il giorno del gelo fra l’inquilino del Colle e quello di Palazzo Chigi. Non una parola, non uno spiffero ad accreditarlo, ma i fatti parlano da soli. Lo spartiacque della giornata arriva dal Palazzo di fronte al Quirinale, dalla Consulta. Che fa sapere, nel pomeriggio, che l’udienza sull’Italicum è stata fissata al 24 gennaio. Resa nota la data, dal Colle trapela che mai e poi mai l’arbitro che ha costituzionalmente il potere di sciogliere le Camere (e fra l’altro l’autore del Mattarellum sulle leggi elettorali ha una competenza di suo) potrebbe assecondare la precipitazione verso le urne. Col rischio di dar luogo a un’instabilità ancor più forte di quella che si vuole superare con il voto anticipato.

In altre parole, quand’anche la sentenza sull’Italicum fosse di facile applicazione o - come si dice - "auto-applicativa" con il mero ausilio di un decreto tecnico, ci sarebbe sempre da valutare la compatibilità, e soprattutto l’omogeneità della norma sul Senato, che è stata fonte di grande instabilità negli ultimi 20 anni.

Quanto ai tempi, posto che è improponibile il pressing sulla Consulta perché si pronunci prima, se il 24 gennaio è fissata la prima udienza ci sarà comunque da aspettare la sentenza finale e poi ancora le motivazioni prima di poter procedere. Ci sarà inoltre da calcolare i tempi tecnici per andare alle urne che prenderebbero, in base alle esperienze e alla procedura di convocazione dei comizi, almeno altri due mesi.

In altre parole: solo un complicatissimo accordo-lampo in Parlamento fra acerrimi nemici - oggi accomunati solo dalla voglia di accelerare verso le urne - sarebbe in grado di prevenire il pronunciamento della Consulta. Uno scenario che il Quirinale non può dare per acquisito. Per cui è necessario assecondare il percorso ordinario, che porta al voto, invece, non prima di giugno.

Ma c’è un’altra preoccupazione che anima le mosse di Mattarella. Il susseguirsi nel primo semestre del prossimo anno di due importanti appuntamenti ospitati dall’Italia. Il vertice per i 60 anni dei Trattati a Roma, in programma per fine marzo, e il vertice del G 7 di Taormina, in programma a fine maggio. Può l’Italia rinunciare all’obiettivo di rilanciare, come si era detto, l’Unione su nuove basi, a Roma, a marzo, nel ricordo dei padri fondatori? O si può pensare di avere un governo non nei pieni poteri, a Taormina, a spingere sui Grandi del mondo perché dalla Sicilia venga riconosciuto il ruolo svolto dall’Italia su immigrazione e salvataggi in mare?

Ora, è vero che martedì la Borsa ha brindato, ma ancora una volta un ruolo importante è stato giocato dall’ombrello protettivo della Bce con Mario Draghi (in stretto contatto in questi giorni con Mattarella) che aveva di nuovo assicurato di essere pronto a nuove iniezioni di liquidità, attraverso il Quantitative easing, se ce ne sarà bisogno, per scongiurare assalti speculativi sulle banche più indebitate. Ma è chiaro che l’Europa vigila attentamente sulla crisi italiana, visto che questi aiuti non possono tollerare un nuovo ritorno alla instabilità politica.

Il silenzio del Colle, martedì, l’annullamento degli impegni di mercoledì sono quindi serviti e serviranno ulteriormente ad affinare la strategia con cui Mattarella, si accinge a incontrare i suoi "giocatori" ricordando a loro il rispetto delle regole. Ci proverà prima con Renzi, con la massima determinazione. Per chiedergli di tornare alle Camere con un reincarico (visto che non è mai stato sfiduciato) al termine di un giro di consultazioni che risultasse privo di via d’uscita, come altamente prevedibile al momento. Il piano B non è un Renzi che resta al suo posto per forza d’inerzia.

E se il premier si decidesse a mettersi di traverso la linea di Mattarella non defletterebbe di una virgola. Governo politico con arco temporale ragionevole davanti a sé per onorare le scadenze più urgenti. Disposto a portare il nome che indicherà per la guida del governo davanti alle Camere, chiamando tutti alle loro responsabilità. Quanto all’ipotesi governo di unità che Renzi avrebbe intenzione di proporre ai suoi il no preventivo di Lega ed M5S l’ha tolto dalla scena prima ancora che la proposta venisse formalizzata. E la partita, ora, si fa davvero complicata.

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