sabato 27 giugno 2009
Viaggio nei comuni abruzzesi che non hanno accesso allo scudo fiscale anche se sono stati colpiti dal sisma perchè nei loro territori l'intensità sismica è stata «leggera».
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In cima alla montagna che sovrasta la frazione San Pio ci sono tre croci di ferro. Una leggenda colloca lassù la villa romana in cui si ritirò Ponzio Pilato dopo il verdetto che cambiò la Storia. La realtà del terremoto, invece, ha lasciato crepe ben viibili nei muri di Fontecchio, uno dei centri storici più belli d’Abruzzo: il 65% degli edifici è inagibile e gran parte della popolazione vive in tenda. Un’altra leggenda avvisa chi si inerpica su questo calvario, che in questa stagione ti inebria con il profumo delle ginestre in fiore, di trovarsi addirittura nel paese natio del prefetto che «se ne lavò le mani» e il timore degli abitanti di Fontecchio è che il governo faccia esatta­mente lo stesso: per mezzo punto di scala Mercalli il paese è stato escluso dal decre­to che individua il cratere dei 49 comuni a­quilani ammessi a godere delle agevola­zioni previste per le aree terremotate. Ne fanno parte tutti i centri che lo circonda­no, rappresentati nel centro operativo mi­sto di San Demetrio, una circostanza che a­limenta livide recriminazioni - «Ho una fi­glia cardiopatica, non posso rientrare in ca­sa e ho dovuto affittare un appartamento a mie spese a Viterbo, non posso certo te­nerla in tenda» protesta Annamaria Calì ­e taglia le gambe a ogni progetto di ripre­sa. È rinviato sine die quello dell’Albergo Diffuso che avrebbe messo a reddito il ric­co patrimonio di dimore trecentesche e ve­tusti pagliai, ristrutturati senza badare a spese per inseguire il sogno di un nuovo Medioevo. Quando altrove si crepava di fa­me e di pellagra, infatti, l’artigianato e il mercato della lana facevano del borgo ve­stino la capitale della valle Subequana: in­torno alla fontana trecentesca e sulle rive dell’Aterno vivevano in cinquemila; l’uni­co problema dei Muzi e dei De Marchis, le famiglie più ricche del paese, era quello di combinare un buon matrimonio con qual­che quarto di nobiltà. Oggi in casa De Mar­chis abita Loredana Rampini. O, meglio, ci abitava: i muri portanti mostrano sinistre ferite e gli architrave in travertino risulta­no spezzati. «È inagibile come tutte le co­struzioni dei secoli scorsi, quelle che atti­ravano i turisti da tutta Europa e su cui sta­vamo investendo» conferma Primo Bene­detti, assessore di Fontecchio. Anche lui ha creduto nell’Albergo Diffuso, che ha reso ricco e famoso Santo Stefano di Sessanio, sulle falde del Gran Sasso. Come dargli torto? Prima del terremoto, il turismo rappresentava l’unica scommessa plausibile del paese dei leoni, che nello stemma civico sono due come i borghi che si fusero per condividere acqua e commerci. A distanza di tanti secoli, di affari se ne fanno davvero pochi sotto il monte Sirente. La metà dei 400 iscritti all’anagrafe lavora per l’opera Santa Maria della Pace, una maxistruttura assi­stenziale parzialmente gestita dal Policli­nico Gemelli. «Prima del 6 aprile - precisa però Benedetti - eravamo riusciti a con­vincere alcuni giovani a insediare nuove botteghe artigiane e ristoranti ma l’esclu­sione dal decreto ci trasforma in terremo­tati di serie B: le nostre attività si sono fer­mate e non sono coperte dallo scudo fi­scale, assicurato invece agli altri comuni dell’area danneggiata». Lamentano la medesima ingiustizia i co­muni che si affacciano sul Reatino, pari- menti tagliati fuori dalla zona franca. An­che su Catipignano, Cagnano Aterno e Montereale si è abbattuta la scure della 'giustizia' sismica: se non viene rilevata un’intensità di almeno sei punti della sca­la Mercalli, sei fuori dai 'benefici' del de­creto e ti tocca pagare bollette, Ici, Tarsu e contributi dei dipendenti come se abitas­si a Cortina. A Fontecchio, il 95% delle at­tività è fermo e le stesse doglianze proven­gono dall’Alto Aterno, dove peraltro si vive con qualche patema in più: ieri, sono tor­nati sotto le tende i 400 abitanti di Casti­glione, Verrico e Colle Verrico, le frazioni di Montereale colpiti nelle ul­time ore da 21 scosse. Il problema dei comuni e­sclusi dalla perimetrazione del sisma è ben noto alla Protezione civile, che nei giorni scorsi ha riaperto il dossier per capire dove, e­sattamente, finissero le pre­tese e iniziasse il diritto. Ri­sultato: 17 sindaci e 1.500 abitanti della valle Peligna sono scesi in piazza a Sul­mona per denunciare la medesima «ingiustizia». Senza troppi giri di parole, i funzionari di Bertolaso hanno fatto sapere che non a­valleranno un altro scandalo Irpinia, dove, di revisione in revisione, esplose l’elenco dei comuni ammessi alle agevolazioni per i danni da terremoto. Il sindaco di Monte­reale, tremila anime e più di cento chilo­metri quadrati di territorio comunale, tut­tavia, insiste: vuol essere assimilato a Cam­potosto. «Siamo inseriti nello stesso Com di Pizzoli, abbiamo diverse tendopoli e 300 edifici inagibili ed è stato esaminato solo il 10% degli immobili; una frazione ha addi­rittura l’80% di case off limits e la percen­tuale complessiva di danni è superiore a quella di altri centri inclusi nella zona fran­ca » rivendica il sindaco Lucia Pandolfi, ri­battezzata il «sindaco guerriero». Paventa un «terremoto sociale» e lo descrive così: «la stessa farmacia serve il giovane la cui abi­tazione non ha subito danni, ma che è e­sente dal ticket perché abita in un centro del cratere, e l’anziano di Montereale, che ha la casa distrutta eppure deve pagare». Ancora: «ospitiamo negli alloggi sfitti i ter­remotati dell’Aquila che hanno case di ca­tegoria E ma i nostri sfollati, pur avendo subito lo stesso danno, restano in tenda…» Fiorangelo Benedetti intende fidarsi co­munque: « Bertolaso ci ha promesso che saranno effettuati i necessari sopralluoghi e sarà rivista la nostra posizione. Voglio cre­derci - afferma il sindaco di Fontecchio ­perché i dati sono più che sufficienti a in­cluderci nel cratere senza che questo si­gnifichi dissipare risorse pubbliche. Noi lot­tiamo per i nostri diritti, oggi e domani, quando inizierà la ricostruzione». Fa pau­ra l’onda lunga di quest’esclusione: Fon­tecchio non è Onna nè L’Aquila, ma anche qui hanno ceduto muri antichi e colonne di cemento armato, la parrocchiale è le­sionata, le vie del centro storico, vietatissi­mo in quanto pericolante, sono un arabe­sco di crepe e piccoli crolli. Ad avventurar­visi, scopri che, ancora una volta, ha resi­stito il Sant’Antonio affrescato prima del rovinoso sisma del Settecento, ma, pochi passi più in là, la volta rivestita di fuligine attende solo un’altra scossa per rovinare sul vecchio callaro, il pentolone murato do­ve si bolliva il vino e tutto il resto. Uscendo dal paese, t’imbatti nel convento di San Francesco e scopri che mezza facciata è senza copertura, come se l’avessero strap­pata via. Il custode, onesto, ti informa che non è colpa del terremoto ma dei commit­tenti: non la completarono mai, perché non si misero d’accordo su chi dovesse appari­re nelle decorazioni e soprattutto pagarle. Il Comune ha affidato il complesso alla coo­perativa Sirente, giovani ristoratori che ne hanno fatto un punto di riferimento per fe­ste e matrimoni. Hanno già iniziato i lavo­ri di consolidamento e il ristorante riaprirà in settimana, ma, segnala il direttore Enzo Ciancona «la navata è crepata. Se non si in­terviene subito, un’altra scossa come quel­la di lunedì e viene giù».
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