venerdì 23 novembre 2018
Telecamere e controlli rafforzati non hanno prodotto risultati
Terra dei fuochi, in Campania nulla è cambiato
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Terza, seconda, un filo d’acceleratore oppure dici addio a gomme e semiassi. Fra buche e dossi che sarebbero via Castelluccio, stradina "via di fuga" dal Vesuvio. Il lampione campeggia a un piccolo incrocio e, lassù, fanno bella mostra tre telecamere poco sopra un cartello: Zona videosorvegliata. «Serviranno anche da deterrente», spiegò lo scorso 16 luglio l’"Ente Parco nazionale del Vesuvio", presentando (con soddisfazione, enfasi e il neoministro per l’Ambiente, Sergio Costa) l’impianto di videosorveglianza, sarebbe a dire 35 telecamere e finanziamento statale da 230mila euro. Freno a mano e giù dall’auto, per guardare da vicino e toccare i rifiuti depositati proprio sotto le telecamere. Da una parte quelli vecchi di mesi, se non anni, a quintali, che il Comune ercolanese ha caratterizzato e chiuso dentro bustoni bianchi (rimasti lì), dall’altra quegli altri, sempre a quintali, freschi di sversamento e beffa. I lupi, insomma, hanno magari perso un po’ di pelo, non il vizio.

Girare in lungo e largo, da molti anni, la Terra dei fuochi (due milioni di abitanti a sud di Caserta e nord di Napoli) mostra come non sia cambiato granché nell’ultimo decennio. Si sversano o sotterrano meno rifiuti tossici e s’accendono meno roghi, è vero, in qualche caso evidente, ma questa specie d’inferno non è esaurito. Annota la Direzione nazionale antimafia, nel capitolo sui "Crimini ambientali" della sua ultima Relazione di un anno e mezzo fa, che «il sistema della gestione dei rifiuti in campo nazionale si è sempre basato e continua a basarsi sulla commistione di attività legali ed illegali».

A Sud di Caserta e nord di Napoli, appunto nella Terra dei fuochi, ci si può muovere quasi a casaccio. Le notizie buone s’incontrano soprattutto sotto i cavalcavia, un tempo stracolmi di rifiuti pericolosi d’ogni genere (a partire da amianto e copertoni...) sistematicamente incendiati anche più volte al giorno, ora più puliti e semmai intristiti da sacchetti d’immondizia, che non mancano nemmeno – per esempio – nelle piazzole d’emergenza sull’Asse Mediano (che congiunge Nola a Villa Literno) sotto i cartelli "Vietato gettare rifiuti".

Nelle notizie cattive (e vecchie) s’inciampa invece una dietro l’altra da Caivano ad Acerra, da Aversa a Torre del Greco, da Afragola a Caserta. Mucchi di plastiche, d’avanzi di lavori edilizi, guaine e gli immancabili scarti delle lavorazione di pelli e tessuti, che incontri sparsi senza problemi (una strada poco lontana da San Giuseppe Vesuviano ne è letteralmente ricoperta da anni). Robaccia trattata chimicamente che inevitabilmente racconta smaltimenti abusivi: una borsa da donna o un paio di scarpe producono mezzo chilo di scarti e, se realizzati in nero, anche lo smaltimento dev’esserlo. Conseguenze? Non serve fervida immaginazione.

Ancora quella Relazione. Prima «le strutture dedite alla criminalità ambientale si rivolgevano alla camorra per aver luoghi dove smaltire illegalmente – continua la Dna –, adesso quelle stesse strutture dispongono di discariche legali dove operare illegalmente» e di quanto occorra per farlo, compresi «rapporti instaurati con i pubblici poteri attraverso la corruzione». Risultato? È «indubbio» che «le imprese delinquono di più in materia ambientale», mentre aumentano «le connivenze tra imprese e organi preposti alla vigilanza».

Nella zona industriale di Crispano si può parcheggiare di nuovo e apprezzare i rifiuti pericolosi e tossici (barattoli di vernici, calcinacci, i soliti tessuti e molto altro) a pochi metri da terreni coltivati e quasi a perdita d’occhio. Qui la mascherina conviene metterla, tira vento e le polveri d’amianto non si vedono, ma svolazzano ch’è un piacere.

A proposito di perdita d’occhio, tornando nel Parco nazionale del Vesuvio e camminando una decina di minuti, si è nel cuore della discarica Ammendola Formisano (fra San Sebastiano ed Ercolano). Una cava nella quale si prese a sversare rifiuti urbani, poi industriali e infine tossici e che negli ultimi anni si è "guadagnata" diversi esposti dalla Rete di 21 associazioni vesuviane. Anche perché nel 2002 e nel 2008 venne individuata come "sito di stoccaggio provvisorio" per l’emergenza di quei periodi e inzeppata di rifiuti. E sono tutti ancora qui, coperti da plastica nera. Ma da anni il percolato fuoriesce dalla cisterna che dovrebbe raccoglierlo, 200 metri a valle, e finisce nel terreno…

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