lunedì 13 luglio 2020
La cittadina umbra in lutto si stringe ai familiari di Flavio e Gianluca nel giorno dei funerali dei due ragazzi trovati senza vita e che sarebbero stati uccisi da un mix con metadone
I funerali di Flavio e Gianluca. Don Andreani: un'ingiustizia la loro morte
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Una marea di palloncini bianchi lanciati nel cielo ad accompagnare i due feretri, la cattedrale gremita nella capienza massima consentita dalle attuali norme, oltre 1000 persone fuori dalla porta della chiesa – mascherine e distanziamento saltano, difficile pensarci in questi casi – ad ascoltare dall’unico altoparlante che diffonde la diretta, quelle esequie a cui nessuno avrebbe mai voluto prendere parte. La mamma e la sorella di Gianluca entrano in chiesa sorrette a fatica: «Il mio piccolino, dov’è il mio piccolino? Me l’hanno portato via». «Il mio unico fratello, perché?». Le urla si stagliano strazianti nel silenzio. Più composto ma ugualmente straziante il dolore di Silvia, la mamma di Flavio. Qualche metro più in là, i padri e il resto delle famiglie, travolti da un destino che ha sconvolto per sempre le loro vite.


Ci sono tutti a salutare Flavio e Gianluca. Gli amici, i compagni di scuola, i ragazzi del Terni Rugby, c’è persino una rappresentanza della Comunità Incontro, ospiti ed operatori. Don Alessandro Rossini, parroco del Duomo e don Luca Andreani, parroco di Santa Maria del Rivo, conoscevano bene le famiglie. In assenza del vescovo, convalescente, tocca a loro celebrare le esequie. Presenti tutte le autorità civili e militari, con in testa il sindaco Latini, che ha proclamato lutto cittadino.


Alcuni fra gli amici delle due giovani vittime non ce la fanno, crollano in un pianto disperato e lasciano la chiesa. I più forti fra quelli rimasti fuori dalle porte del Duomo si incollano alla diretta della cerimonia, trasmessa dalla pagina facebook della Diocesi. Quando due sacerdoti escono per distribuire l’Eucarestia a chi sta fuori, i ragazzi si mettono in fila composta e aspettano il loro turno. La partecipazione è sentita e sincera, quasi come i loro amici scomparsi li incitassero, con una mano sulla spalla.


Don Luca Andreani, nell’omelia, si rivolge ai genitori: «Flavio e Gianluca erano dei ragazzi buoni, di buon cuore, fregati dal male. Neanche con tutte le ragioni di questo mondo la morte dei nostri Flavio e Gianluca, potremo giustificarla, equivarrebbe a riconoscerla una cosa giusta. Ci turba profondamente che due splendidi ragazzi, accolti con gioia alla vita dalle loro famiglie e amati da tanti amici e conoscenti, siano stati oggetti da parte di alcuni di sguardi malefici, pronti a danneggiarli solo per bramosia di una manciata di soldi e di un’illusoria esperienza di potere e dominio su di loro». Niente sensi di colpa, dice don Luca: «Ricnosciamoci semplicemente e umilmente peccatori, dolorosamente limitati nell’amore, ma determinati ad amarli ancora e di più, meglio di prima. Chiediamo perdono a loro e ai nostri figli per le volte che non ci siamo accorti dei loro disagi e per le volte che vedendoli abbiamo tirato oltre, delegando sempre altri quella che la vita e Dio ci danno come occasione per amare realmente e come ci insegna Gesù».


Sfilano ad uno ad uno i rappresentanti degli insegnanti, dei compagni di scuola, degli amici. Particolarmente toccante il breve discorso dei compagni di Gianluca: «Tu Gianluca sarai sempre nei nostri cuori, il ragazzo sorridente che prende la vita come un dono. Qualcuno si chiede perché proprio a te. Ecco, pensiamo di essere in un campo di fiori. Quale coglieremmo? Il più bello». «Gianluca, sei il fratello che non ho mai avuto», dice Mattia, il miglior amico di Gianluca, in uno scritto affidato alla voce di una compagna di classe. Il fratello maggiore di Flavio racconta un aneddoto sulla amicizia dei due ragazzi: «Erano una cosa sola, tanto che durante il lockdown per lui la cosa più difficile era non stare a contatto con lui. Ogni volta che entravo in camera lo trovavo in collegamento con Gianluca. Spero un giorno di poterli incontrare di nuovo e continuare a prenderli in giro, come ho fatto finchè sono stati in vita». Don Felice Riva, il cappellano dell’ospedale Bambin Gesù di Roma, dove lavorava il padre di Flavio, lancia un monito: «Che cosa non abbiamo capito? Perchè la nostra società fallisce? Che cosa non ha funzionato? Occorre dare risposte oggi, essere positivi, capire i bisogni dei giovani ma essere capaci anche di dare dei modelli. Gesù ci indica la strada, quando parla di carità, solidarietà e accoglienza, che non sono segni di debolezza».


Il Cantico delle Creature a fare da anello di congiunzione, poi il portone si apre, le due bare bianche escono, un grande applauso a salutare per l’ultima volta i due ragazzi. «Ci rivedremo, avremo mille cose da raccontarci». L’insegnante di Flavio l’aveva detto prima del congedo, ma suona quasi come una triste consolazione: «Adesso però è il tempo di interrogarsi sul contesto culturale in cui viviamo», dice quella di Gianluca: «Questa conclusione è un giudizio per tutti noi».

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