giovedì 4 agosto 2022
Il segretario dem resta fiducioso sull’intesa complessiva. Calenda però blinda il patto a due con il Pd: non accetto revisioni, mentre Sì ed Europa verde sono tentati dal M5s
Delusi. Il segretario nazionale di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni, a destra, e Angelo Bonelli di Europa Verde non hanno gradito l'intesa raggiunta da Letta e Calenda e ora guardano anche al M5s

Delusi. Il segretario nazionale di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni, a destra, e Angelo Bonelli di Europa Verde non hanno gradito l'intesa raggiunta da Letta e Calenda e ora guardano anche al M5s - Ansa

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Ogni giorno ha la sua pena, o anche più d’una, e ieri – chiuso l’accordo con Calenda – Enrico Letta ha dovuto far fronte al malcontento della sinistra, ma anche ai timori di Luigi Di Maio, pronti ad alzare il prezzo, dopo le concessioni fatte al leader di Azione. Così l’incontro fissato nel primo pomeriggio con Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni viene rinviato per «un supplemento di riflessione» chiesto dai due, nel tentativo di «rinegoziare per un profilo programmatico che parli al popolo del centrosinistra» l’intesa siglata la scorsa settimana. Mentre il segretario del Pd tenta di sbrogliare la matassa con Luigi Di Maio, molto perplesso sull’offerta di un diritto di tribuna che salverebbe lui, ma lascerebbe a spasso quanti lo hanno seguito nella scissione da M5s.

I leader di Europa verde e Sinistra italiana, dunque, vogliono un trattamento analogo a quello dell’ultimo arrivato nella coalizione. E si prendono una pausa, decisi a capitalizzare al massimo, facendo leva sulle offerte che arrivano dai 5 stelle di Conte a unirsi a loro. Così per il leader dem inizia una nuova, estenuante trattativa, che parte dai punti del programma firmato da Letta e Calenda, non coincidenti in molte materie con quelli chiesti dalla sinistra. Punti che Calenda difende a spada tratta: «L’agenda Draghi è il perno di quel patto e tale rimarrà. Fine della questione», avverte. Ancora: «Letta l’ha firmato. Se Fratoianni non ci si trova, chiarisca prima di fare la coalizione. Il mio interlocutore è Enrico Letta».

Ma al Nazareno sono certi che con Bonelli e Fratoianni si potrà raggiungere un’intesa su altri capitoli programmatici, così come fece agli albori della sua carriera Silvio Berlusconi con Fini e Bossi. Un patto di desistenza, con cui alla fine riuscì a governare. E d’altronde il segretario del Pd si è proposto come front runner, e nel suo ruolo è certo di poter conciliare le richieste dello schieramento liberal-democratico-progressista. Soprattutto l’entourage lettiano è certo che l’intesa si chiuderà sui seggi, che non potranno essere comunque altrettanto numerosi del 30 per cento offerto a Calenda. D’altronde, notano nello staff del segretario, «con la sinistra governiamo in tante amministrazioni locali, abbiamo vinto dove ci davano per perdenti», perciò il Pd è certo che alla fine l’intesa ci sarà.

Che la trattativa sia in atto, e proprio sui seggi, lo si capisce dalla tensione con cui vivono questa fase gli aspiranti candidati dem, che vedono assottigliarsi il numero dei posti a disposizione, di fronte alle promesse del segretario ai vari interlocutori per costruire l’alleanza.

Già, perché oltre a Calenda, Bonelli e Fratoianni, c’è anche Luigi Di Maio, che chiede «rispetto verso tutti coloro che fanno parte della coalizione», altrimenti «viene meno il principio fondante». Il ministro degli Esteri lo spiega direttamente a Letta, in un incontro a cui partecipa anche Bruno Tabacci, incontro che resta però interlocutorio. Per Impegno civico la richiesta è di una decina di posti, altrimenti il diritto di tribuna non sarebbe sufficiente e l’ex grillino potrebbe correre da solo, o almeno questa è la minaccia.

E poi c’è Matteo Renzi. Escluso dai giochi, il leader di Italia viva non risparmia bordate. «Cos’è il diritto di tribuna? Un posto garantito come capolista del Pd a tutti i leader di partiti in coalizione – scrive l’ex premier e segretario dem – così sono sicuro di entrare in Parlamento. Lo hanno chiesto anche a noi», ma, continua, «la dignità dov’è?», si chiede, sostenendo che invece Di Maio avrebbe accettato. «Io non mi faccio adesso candidare da quel partito per salvare una poltrona. Le idee valgono più dei posti», incalza. «Per me la politica è un ideale, non un centro per l’impiego».

Insomma, il clima resta tesissimo e in questo quadro i big del Pd sono in campo per spegnere gli incendi. A partire da Nicola Zingaretti, che arriva in aiuto a Letta per continuare a tessere la tela.

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