lunedì 26 settembre 2011
Il territorio piemontese che dovrà essere attraversato dalla nuova linea Torino-Lione rischia di trasformarsi in un incubatoio dell’eversione. Cantieri militarizzati e cittadini sempre più ostaggi degli estremisti. Una situazione che accresce la preoccupazione della Chiesa locale.
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«Ci dissociamo dalla violenza, da qualunque parte provenga». Parole che pesano, in una valle “in armi”. Soprattutto se a pronunciarle sono uomini di pace, avvezzi a porgere l’altra guancia. Roberto Perdoncin, Paolo Anselmo, Rosanna Bonaudo e Maria Rinelli sono alcuni dei “Cattolici per la vita della valle”. Da anni questo gruppo, che si è organizzato a Condove, intorno alla parrocchia di San Pietro in vincoli, costituisce un punto di riferimento per un’area più vasta che, pur opponendosi all’opera, rifiuta i metodi violenti. Salvo venir coinvolta negli assalti al cantiere di Chiomonte. I fatti di luglio - decine di feriti e due arresti - hanno lasciato il segno tra i cattolici, che cercano di riannodare i fili del dialogo.Il vescovo di Susa, Alfonso Badini Confalonieri, ci ricorda che «tutti i cristiani sono per la non violenza anche se poi qualcuno si fa coinvolgere da persone che credono di poter risolvere i problemi con la forza». È preoccupato, il presule, per i gesti e per l’atmosfera. «I cristiani sono da sempre per la pace - ricorda - e queste tensioni non sono nuove, purtroppo, ma parecchi No Tav si sono dissociati dal movimento dopo i fatti di luglio». Come Davide Favaro, caposcout di Condove: con una lettera aperta si è dissociato «nella maniera più netta possibile dai gesti orrendi compiuti dai violenti manifestanti incappucciati, ed attrezzati di tutto punto per condurre una premeditata guerriglia», chiedendo che «i giovani della valle non siano associati a questi pazzi irresponsabili». Non basta: ha denunciato che «le reti dei professionisti del delirio sono state lasciate libere ed indisturbate di rispondere alla violenza della polizia con altra violenza» e che «questi ragazzi non ci hanno aiutato, ma ci hanno pugnalato alle spalle» perché «mentre loro giocavano a fare la guerriglia sulla nostra pelle io ho visto gli anni di assemblee e di riunioni andare in fumo, le esperienze di democrazia partecipata dal basso, di nuovi orizzonti nella partecipazione civile consapevole, infrangersi sugli inni alle molotov ed ai cori da stadio contro la polizia». Un attacco frontale ai centri sociali e la risposta dei duri non si è fatta attendere. Francesco Richetto, figlio di uno dei leader storici No Tav, ha subito rivendicato le recinzioni abbattute, le trivelle bloccate e le barricate, escludendo che il movimento abbia mai stigmatizzato la resistenza attiva e paragonando «certe dottrine astratte, e oseremmo dire fanatiche, sulla non violenza» a «ideologie apparentemente bellissime, ma non sempre efficaci». La lettera di Favaro - che si conclude chiedendo ai portavoce del movimento “una scelta schietta” sulla non-violenza - è la spia del dibattito travagliato (se non travagliatissimo) che i fatti di luglio hanno scatenato tra i cattolici sul discrimine tra la violenza dello Stato e quella dei dimostranti. Senza che questo, per ora, scalfisca l’opposizione al progetto ferroviario. «I media - obietta infatti Anselmo - non riferiscono mai le nostre ragioni, presentano solo le posizioni estreme e fanno il gioco del governo e del Pd che non vogliono entrare nel merito delle questioni». Così dicendo, tira fuori le “150 nuove ragioni contro la Torino-Lione”, redatte in occasione dell’anniversario dell’Unità d’Italia: 64 pagine di obiezioni, dall’impatto ambientale sulla valle ai flussi di traffico ferroviario, che attendono di essere discusse. I “Cattolici per la vita della valle” si rendono conto che questa fase della protesta, come dice Perdoncin, «è molto contraddittoria» e stigmatizzano, prosegue, «tanto le pietre, quanto i lacrimogeni e i cantieri illegali», annunciando che sono disponibili a partecipare solo a manifestazioni pacifiche e che intensificheranno i momenti di preghiera. A seguirli c’è come sempre don Silvio Bertolo, parroco di Condove. Anche lui è perplesso: «Il governo ha il torto di non prendere in considerazione il popolo valsusino, ma nei cortei ci sono soprattutto famiglie di qua, preoccupate per il futuro dei loro figli, e una percentuale molto ridotta di estremisti. I cattolici non possono e non debbono seguire queste frange». L’opzione nonviolenta resta insomma un imperativo categorico e la piega presa dal movimento imbarazza chi ne ha sostenuto le ragioni e la mobilitazione, per anni e in buona fede. Non a caso, un documento dell’Azione Cattolica valsusina, pubblicato nei giorni scorsi, invita esplicitamente i cattolici a «rispettare le autorità civili» onde «non essere rappresentati da portavoce occasionali».
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