mercoledì 21 settembre 2011
​La procura di Napoli ha presentato oggi al gip e al tribunale del Riesame un'istanza per chiedere l'annullamento dell'ordinanza con cui ieri lo stesso gip aveva dichiarato l'incompetenza territoriale dell'autorità giudiziaria napoletana in relazione alla vicenda del presunto ricatto al premier e la trasmissione degli atti a Roma.
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La procura di Napoli non intende mollare l’inchiesta sul presunto ricatto al premier. Il giorno dopo la revoca del gip – che l’ha definita incompetente – i pm partenopei presentano a sorpresa al giudice per le indagini preliminari e al tribunale del riesame un’istanza per chiedere l’annullamento dell’ordinanza. Passo che spinge il Pdl a chiedere al Guardasigilli di inviare gli ispettori del ministero. Mentre i pm dicono sì agli arresti domiciliari per Tarantini, ora a Poggioreale: l’udienza il 23 settembre.I magistrati napoletani dunque non demordono. Anche se il gip Amelia Primavera si era dichiarata incompetente, indicando Roma come la procura titolata, e dopo che il procuratore Giovandomenico Lepore ne aveva preso atto annunciando la rapida trasmissione degli atti ai magistrati capitolini, la procura napoletana torna alla carica. E in dieci pagine spiega come la questione sia tutt’altro che conclusa, perché non è affatto determinata con precisione quale sia la sede giudiziaria competente. Il Pdl, che aveva applaudito, passa al contrattacco chiedendo al ministro della Giustizia Nitto Palma - è la quarta volta - di inviare un’ispezione ministeriale a Napoli. I parlamentari Manlio Contento e Maurizio Paniz dicono che il ricorso dei pm sarebbe giustificato da «elementi nuovi emersi nelle ultime ore». In realtà si tratterebbe di «atti coperti da segreto istruttorio sui quali il capo dell’ufficio non potrebbe dire nulla».Circostanze sulle quali gli ispettori di via Arenula dovrebbero fare luce.L’istanza firmata dai sostituti procuratori napoletani Francesco Curcio, Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock esprime giudizi pesanti sulla memoria consegnata dal premier, viziata da «inattendibilità e ricercata lacunosità». Una condotta «deliberatamente creata» per procrastinare il momento del chiarimento dei fatti anche attraverso lo spostamento del processo ad altra sede». Per esempio, dicono, «l’on. Berlusconi sembra ricordare perfettamente che tutte le somme destinate a Gianpaolo Tarantini siano state erogate e consegnate a Roma, ma "stranamente" non ricorda né l’importo complessivo né le singole tracce erogate, né menziona poi tutte le altre utilità destinate a Tarantini», importanti per determinare momento e luogo del delitto. «Utilità» come l’incarico di difendere Tarantini dato personalmente da Berlusconi a uno dei suoi legali, l’avvocato Giorgio Perroni: "Gianpi" «così si assicurava gratuitamente l’apporto di un validissimo professionista». Altra «utilità» è l’assunzione presso la società Andromeda grazie ai «buoni uffici» di Valter Lavitola e dello stesso premier. «Da settembre del 2010 Tarantini dichiarava candidamente di aver smesso di lavorare, ma gli veniva egualmente emessa la busta paga». La società milanese «veniva ristorata da Berlusconi, tramite Lavitola, delle spese per contributi e tasse». «Utilità» a parte, per i pm le somme erogate «superano di gran lunga la soglia del mero sostegno a un amico»: «stipendio netto di 20 mila euro mensili, benefit vari, più l’una tantum di 500 mila euro». Elargizioni di cui Berlusconi, come hanno riferito la segretaria Marinella Brambilla e il maggiordomo Alfredo Pezzotti, «non era certo entusiasta, anzi seccato». Pezzotti dice come Tarantini e consorte «sfruttavano il premier». E racconta di quando Lavitola fece avere tramite il maggiordomo tre cellulari con utenze straniere da consegnare al premier: «Berlusconi era a conoscenza dell’invio dei telefoni con schede sudamericane da parte di Lavitola e mi parve piuttosto seccato di questa modalità di contatto con Lavitola. Se non ricordo male mi disse: "Ma guarda un po’, queste cose le fanno i mafiosi..."».
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