mercoledì 24 gennaio 2018
Il ministro degli Esteri alla Conferenza della cooperazione allo sviluppo. Calenda: sostenere l'Africa non perché siamo gentili ma per la sicurezza dell'Italia e la tenuta dell'Ue
 Alfano: «La Cooperazione è tornata al centro dell'agenda politica»
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«Abbiamo ricollocato la Cooperazione italiana al centro dell'agenda politica del nostro Paese, con maggiori risorse finanziarie, nuovi attori e ulteriori opportunità di sviluppo culturale e lavorativo. Con questa consapevolezza diamo vita a Roma alla Conferenza Nazionale “Novità e futuro: Il mondo della Cooperazione Italiana". Così il ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Angelino Alfano, ha aperto la Conferenza nazionale della cooperazione allo sviluppo, organizzata all’Auditorium Parco della Musica da Farnesina e Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo.

Due giorni di incontri e confronti, sei tavoli di studio, altrettanti eventi e 3mila partecipanti provenienti dalla comunità della cooperazione e studenti di licei e università italiane che hanno affollato la grande sala Santa Cecilia. Per Alfano l’evento «è un importante momento di sintesi per presentare - a due anni dalla riforma che ne ha innovato strumenti e obiettivi - i risultati della rinvigorita azione di cooperazione, e un’occasione di confronto tra i tanti vecchi e nuovi attori del “Sistema italiano di cooperazione”: il Ministero degli Esteri e l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, le organizzazioni della società civile ma anche le diaspore, il settore privato, le imprese sociali, le università e la cooperazione territoriale di Comuni e Regioni».

«Gli ultimi quattro anni - ha poi sottolineato Alfano - hanno visto un grande slancio della cooperazione: l’Italia – fanalino di coda tra i Paesi più avanzati per percentuale di reddito nazionale destinato allo sviluppo – è tornata ad assumere un ruolo di primo piano, diventando il quarto donatore del G7, raggiungendo lo 0,27% in percentuale di aiuto allo sviluppo (circa 4,5 miliardi all’anno) e raddoppiando le risorse rispetto al 2014. Nel 2017 abbiamo destinato alle emergenze umanitarie quasi 120 milioni di euro, il 20% in più rispetto al 2016».

Per il ministro dello Sviluppo economico è indispensabile un cambio di prospettiva nell'approccio al tema della cooperazione allo sviluppo: «Oggi la priorità assoluta per l'Europa - ha detto Carlo Calenda - è contribuire all'uscita dell'Africa dal sottosviluppo e al suo approdo tra i Paesi sviluppati. Non perché siamo gentili, ma perché ne va della nostra sicurezza e della tenuta dell'Unione europea. Non c'è altra priorità, e non è pensabile affrontare il tema dello sviluppo dell'Africa con fondi volontari costituiti di volta in volta». Per il ministro Calenda «dobbiamo pensare che all'interno del bilancio europeo i fondi per la coesione interna vengano sostituiti da fondi che vadano a lavorare per la coesione esterna: benissimo i 4 miliardi del fondo di garanzia per sostenere 11 volte in termini di leva, gli investimenti. Ma non è sufficiente, se si pensa che solo l'accordo dell'Ue con la Turchia è costato la stessa cifra». Un'intesa per bloccare i flussi dei profughi siriani, raggiunta perché «in quel momento alla Germania era indispensabile avere un accordo con la Turchia, ma all'Italia è indispensabile un accordo con l'Africa». La quota del Pil dedicata alla cooperazione, comunque in crescita e attualmente attorno allo 0,27%, per Calenda va comunque portato ai livelli di quello della Germania, cioè allo 0,5%.

Da parte sua il ministro dell'Ambiente Gian Luca Galletti ha sottolineato che nella tutela ambientale «il benessere non lo puoi difendere, lo devi condividere, perché o si vince tutti insieme o si perde tutti insieme». Anche per il ministro dell'Ambiente «la cooperazione internazionale deve essere un investimento per lo sviluppo di tutti». Galletti ha poi citato i tre eventi importanti del 2015: «L'enciclica Laudato si' di Papa Francesco, l'agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e l'accordo di Parigi sul clima». E ha spiegato che il ministero dell'Ambiente ha intensificato l'attività di cooperazione sul clima incrementando il numero di Paesi beneficiari. Sono 35, ha detto, i partenariati stipulati con un'attenzione maggiore per le aree più vulnerabili come le Piccole isole in via di sviluppo e i Paesi dell'Africa».

Andrea Riccardi, ministro della Cooperazione e dell'integrazione del governo Monti, ha testimoniato l'inizio della risalita dalla china: «Il 2012 poteva essere un anno terribile per la cooperazione, c'era un Italia introversa, la cooperazione era considerata un lusso che l'Italia non si poteva permettere e i fondi una specie di bancomat per reperire risorse. Capimmo che un'Italia che non coopera sarebbe stata un'Italia in declino, provinciale, ripiegata su se stessa. Ottenemmo il triplo di fondi per il 2013 e riuscimmo a onorare i debiti pregressi. Fu la piattaforma su cui si basò nel 2014 la riforma della cooperazione». Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio, ha ribadito come «la questione migratoria non può essere trattata in modo separato dallo sviluppo». Un tema «su cui si sta facendo vergognosamente campagna elettorale: c'è un regresso culturale quando si parla di invasione o di razza bianca». La cooperazione dunque «deve rimettere in moto le speranze per creare lavoro per i giovani africani». Ma Riccardi ha anche sottolineato «le responsabilità dei Paesi africani: a Lampedusa non ho visto nessun governo degli stati da cui sono arrivati tanti di quei morti».

Una critica sulla Conferenza della cooperazione arriva da Ai.Bi, organizzazione di adozioni internazionali: «Stride l'assenza di uno spazio dedicato all'infanzia in condizioni di difficoltà familiare in Italia e nel mondo. Un dato di fatto curioso - ha affermato l'Associazione amici dei bambini - se si pensa che all'evento - oltre al premier uscente Paolo Gentiloni - ha presenziato, tra gli altri, anche il presidente centrafricano Faustin-Archange Touaderà». Nel mondo, afferma l'Ai.Bi., «secondo una stima fatta anni fa dalle organizzazioni internazionali dell'ONU, vivono 180 milioni di minori abbandonati (la maggior parte dei quali proprio in Africa) chiusi in istituti o in orfanotrofi, in attesa dell'abbraccio di una mamma e di un papà, i quali però gli organizzatori evidentemente non hanno tenuto in considerazione. Questo rumoroso silenzio, d'altra parte, non è un'eccezione, ma rappresenta piuttosto l'ultimo passo di un percorso che, negli anni, ha estromesso il tema e la progettualità concreta a favore dell'infanzia abbandonata dall'agenda della politica e della cooperazione internazionale».



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