sabato 21 novembre 2020
L'accisa agevolata non è giustificata da motivi sanitari, ma cambiare è difficile. I produttori investono nel tabacco italiano
Troppo sconto sulle sigarette elettroniche

Ansa

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L’idea di alzare le tasse sulle sigarette elettroniche e su quelle a tabacco riscaldato è rimasta nella bozza della legge di Bilancio solo per un fine settimana. La sera di venerdì 13 novembre l’agenzia Ansa scrive che nel testo è entrata una norma che impone un’accisa pari al 25% del prezzo finale su «prodotti derivati dal tabacco, tabacchi da inalazione senza combustione, sigarette elettroniche e prodotti accessori» con l’obiettivo di «omogeneizzare» le regole dei nuovi prodotti da fumo con quelli delle vecchie sigarette. La sera di domenica 15 novembre è ancora l’Ansa ad avvertire che nell’aggiornamento della bozza della manovra quella norma è saltata. In realtà quello che per pochi giorni è stato l’articolo 192 della legge di Bilancio 2021 cambiava poco sul lato fiscale ma molto sul lato pratico, perché avrebbe introdotto la necessità della “bollinatura” dell’Agenzia dogane e monopoli per i prodotti “a inalazione”. In ogni caso la norma è stata effimera e sarebbe stato sorprendente il contrario: impossibile pensare che si risolvesse così facilmente la complicata partita politica che da mesi si gioca in Italia sulle “nuove sigarette”.

Le sigarette elettroniche e quelle a tabacco riscaldato sono sul mercato ormai da diversi anni. Sono due prodotti diversi che si propongono come alternativa alle sigarette tradizionali. Le sigarette elettroniche generano vapore da un liquido aromatizzato, una soluzione chimica a base di glicole propilenico e glicerina. Le sigarette a tabacco riscaldato invece portano ad alte temperature degli stick di vero tabacco che scaldandosi sprigionano un gas che entra nei polmoni di chi aspira. Non si può dire che queste forme innovative di fumo facciano meno male di quelle tradizionali. L’Organizzazione mondiale della sanità ha studiato sia le e-cig che gli heated-tobacco-product ed è arrivata alla conclusione che non c’è prova scientifica di una loro minore dannosità. Sulle sigarette elettroniche c’è anche un problema di vaghezza: entrano in questa categoria centinaia di prodotti diversi e migliaia di possibili liquidi da scaldare, con o senza nicotina, le variabili sono troppe per dare una valutazione generale.

Sul tabacco riscaldato c’è maggiore uniformità, ma «le aziende produttrici non sono state in grado di dimostrare che questi prodotti riducono le malattie legate al tabacco» avverte l’Oms. Non tutti i Paesi seguono le indicazioni dell’Oms. Negli Stati Uniti la Food and Drug Administration ha autorizzato Philip Morris a pubblicizzare le Iqos, le più diffuse sigarette a tabacco riscaldato, come prodotti ad “esposizione ridotta”, negando però l’autorizzazione a definirle anche prodotti a “rischio ridotto”. Secondo l’autorità americana, che anche su questo è in disaccordo con l’Oms, «i dati inviati dall’azienda hanno mostrato che pubblicizzare questi prodotti con le informazioni autorizzate può aiutare il passaggio di fumatori adulti dipendenti dalle sigarette a combustione e ridurre la loro esposizione ad agenti chimici dannosi, ma solo se il passaggio è completo».

Philip Morris nel 2018 aveva chiesto anche all’Italia la possibilità di trattare le Iqos come prodotti a rischio ridotto. L’Istituto Superiore di Sanità non ha accettato. Lo studio dell’Iss, di cui si è parlato a lungo in un’inchiesta della trasmissione televisiva Report, è riservato, ma le sue conclusioni sono state pubblicate nel rapporto sul tabagismo pubblicato a maggio dal ministero della Salute: «L’Iss conclude che le evidenze disponibili non sembrano essere sufficienti a dimostrare che l’uso del prodotto in esame sia associato a un’effettiva riduzione del rischio». Tuttavia l’Italia ha scelto di applicare alle sigarette innovative un regime di tassazione vantaggioso. Lo ha scelto già dal 2014, quando il governo Renzi per primo ha deciso come trattare questo tipo di prodotti dal punto di vista fiscale. Aveva inizialmente previsto un’imposta di consumo pari al 58,5% del prezzo sugli apparecchi per fumare – poi bocciata dal Tar e dalla Corte Costituzionale – e introdotto un’accisa sulle forme di fumo alternativo pari al 50% di quella su una quantità equivalente di sigarette tradizionali. L’accisa sui liquidi per le sigarette elettroniche è sopravvissuta come una tassa per millilitro, oggi pari a 4 centesimi a millilitro se il liquido non contiene nicotina e 8 centesimi per quelli che contengono nicotina. Il primo governo Conte con la manovra 2019 ha ulteriormente ridotto l’accisa sulle sigarette a tabacco riscaldato, riducendola dal 50 al 25% di quella su una quantità equivalente di sigarette tradizionali. Il risultato è che attualmente su una confezione di sigarette per tabacco riscaldato l’accisa pesa in media per il 16,7% del prezzo finale, quando sulle sigarette tradizionali l’imposta media è al 59,8% di quello che paga il fumatore.

Privilegiare le “nuove” sigarette rispetto alle “vecchie” può essere una scelta, ma ha un costo. Uno studio condotto dal Centro Arcelli per gli studi monetari e finanziari dell’Università Luiss Guido Carli consiglia di alzare l’accisa sui prodotti a tabacco riscaldato dal 25 all’80% di quelle sulle sigarette tradizionali e calcola che una misura di questo tipo potrebbe portare a un aumento di gettito di circa mezzo miliardo di euro all’anno. Lo studio ne fa anche un discorso di prospettiva per la contabilità pubblica. Il consumo di sigarette tradizionali in Italia è in graduale ma significativa (e positiva) contrazione: siamo scesi dagli oltre 85 milioni di pezzi del 2010 ai 65 milioni dello scorso anno. L’uso di sigarette a tabacco riscaldato è invece in forte aumento, il mercato italiano è passato da meno di mezzo milione di pezzi nel 2017 ai quasi 4 milioni dello scorso anno. Considerato che tra Iva e accise lo Stato incassa dal fumo circa 12 miliardi di euro all’anno, adattare la tassazione al cambio di abitudini può essere una soluzione. Anche perché sul tabacco riscaldato le aziende hanno margini straordinariamente maggiori.

Fuori e dentro al Parlamento c’è chi lo sta chiedendo. Cittadinanzattiva a giugno assieme a oltre 70 entità tra organizzazioni civiche, associazioni di pazienti, federazioni e ordini professionali ha lanciato la proposta di alzare le tasse sul tabacco per finanziare il rafforzamento dell’assistenza domiciliare. Gli emendamenti in quella direzione al Decreto Rilancio presentati da parlamentari di M5S, Pd, Leu, Fratelli d’Italia, Forza Italia e Gruppo misto sono però stati bocciati dal governo. Il portale d’informazione europea Politico ha colto l’occasione per evidenziare la forza dell’attività di lobby dell’industria del tabacco sulla politica italiana, in particolare su Partito Democratico e Movimento 5 Stelle. La pressione potrebbe avere in alcuni casi anche superato i limiti della legge: il prossimo 12 gennaio si terrà l’udienza preliminare nel processo ad alcuni ex dirigenti di Philip Morris Italia e dei Monopoli di Stato, accusati dalla Procura di Roma di «concorso in corruzione e turbata libertà del commercio» nell’ambito di un’indagine sullo scambio di reciproci favori.

L’industria del tabacco, e Philip Morris in particolare, si è però guadagnata un’attenzione politica particolare anche creando lavoro. L’Italia è il principale coltivatore di tabacco in Europa, la filiera tabacchicola dà lavoro a circa 50mila persone. Philip Morris comprà circa la metà della produzione di tabacco italiano. Nel 2016 la multinazionale ha inaugurato in provincia di Bologna il primo stabilimento al mondo per la produzione su larga scala di componenti per le Iqos, una fabbrica costa oltre 1 miliardo di euro di investimento nella quale lavorano 1.200 persone. Quest’anno a Taranto, città dove la carenza di lavoro è drammatica, l’azienda ha avviato il suo nuovo “Digital Information Service Center” dove lavoreranno altre 400 persone. «Sarà il punto di riferimento dell’azienda per tutte le attività di customer care ai consumatori italiani dei prodotti senza combustione» ha spiegato Marco Hannappel, amministratore delegato di Philip Morris Italia, annunciando l’investimento lo scorso 6 novembre.

Lo stesso giorno, a Roma, la senatrice dell’Udc Paola Binetti illustrava in una conferenza stampa la proposta di legge per rivedere la legge Sirchia sul tabacco, includendo anche le nuove forme di sigarette tra i prodotti sottoposti a maggiore controllo e limitazioni. «Quando la legge Sirchia è stata introdotta questi prodotti non esistevano – spiega la senatrice –. Partiamo da due premesse: la prima è che le sigarette a tabacco riscaldato nuocciono alla salute, come dicono l’Oms, l’Iss e lo stesso ministero della Salute; la seconda è che non c’è nessun motivo di fare sconti fiscali a multinazionali dai budget potentissimi». L’ingresso e la rapida uscita di scena dell’articolo della legge di Bilancio che avrebbe avviato una prima forma di rafforzamento delle regole sul settore conferma che questa non sarà una partita semplice. La soluzione finale potrebbe comunque arrivare da Bruxelles. Lo scorso giugno il Consiglio europeo ha incaricato la Commissione di elaborare una proposta per armonizzare regole e tasse sui nuovi prodotti da fumo. La consultazione pubblica sull’argomento si è chiusa da poco. Conoscendo tempi e modi del legislatore europeo la soluzione non arriverà a breve, ma arriverà.

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