venerdì 18 maggio 2012
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​Una mozzarella tre volte Doc, perché buona, biologica e "pulita", prodotta a Castel Volturno sui terreni confiscati alla camorra dalla cooperativa "Le terre di don Peppe Diana", il parroco di Casal di Principe ucciso dal clan dei Casalesi il 19 marzo 1994. L’aula del Consiglio comunale di Castel Volturno piena di ragazzi, non era mai successo, per ricordare Domenico Noviello, l’imprenditore ucciso il 16 maggio 2008 dalla camorra per aver detto no al pizzo. Il grande cortile del santuario della Madonna di Briano stracolmo di bambini e ragazzi delle scuole campane che hanno partecipato in più di mille (circa 100 scuole) al concorso letterario intitolato proprio a don Diana. Scrivendo la loro voglia di riscatto. Tre segni di speranza per questa terra, non più terra di Gomorra ma terra di don Peppe. «Possiamo davvero dire che ci sono tanti segni di cambiamento – dice il vescovo di Aversa, Angelo Spinillo –. Davvero il cielo all’orizzonte rosseggia». «È un momento d’oro, splendido per questa terra», commenta il capo della Dda, Federico Cafiero de Raho. Ma pur colpita duramente la camorra reagisce.Nella notte qualcuno sfonda la porta del Teatro della legalità costruito su un terreno confiscato a Casal di Principe. Poi rompe i distributori automatici di merendine, portando via i soldi, pochi spiccioli. Ma tralasciando computer e apparecchiature audio. Un evidente gesto di sfida anche se scomposto. «Sono i ragazzi del clan – ci spiega un investigatore –, immaturi e poco prevedibili. Non hanno progetti, vogliono solo far sentire che ci sono. Per questo possono essere pericolosi. Ma ne abbiamo già beccati e continueremo a farlo, come abbiamo fatto coi capi».Già, davvero questa terra sta cambiando, vivendo un momento irripetibile, da non perdere. Unica nota stonata: la politica. Proprio Castel Volturno e Casal di Principe sono stati da poco sciolti per infiltrazione camorristica.L'INIZIATIVA - DECINE DI SCOLARI CONTRO GOMORRAAula consiliare di Castel Volturno. Tanti ragazzi delle scuole del centro domizio. Ascoltano il ricordo di Domenico Noviello, l’imprenditore ucciso il 16 maggio 2008, dal gruppo camorrista guidato da Giuseppe Setola, per essersi opposto al racket. Ascoltano altri imprenditori che, proprio seguendo il suo esempio, hanno deciso di denunciare gli estorsori, costituendo poi la prima associazione antiracket che porta il suo nome. Non era mai successo. Le porte del comune (oggi sciolto, e non è certo una coincidenza, per infiltrazione camorristica) non si erano mai aperte per ricordare Noviello. «Quattro anni per il primo anniversario, non c’era neanche la troupe della Rai», ricorda Tano Grasso, presidente della Fai e "papà" del movimento antiracket. «Sono felice per i grandi passi avanti che sta facendo il mio paese», riflette Massimo Noviello, figlio dell’imprenditore. Non più una cerimonia tra amici, ora il paese c’è. Anche sul luogo dell’omicido. Baia Verde, nella piazzetta che ora porta il nome di Noviello ci sono alcune centinaia di persone. C’è anche il gonfalone del Comune portato da due ragazze. Ci sono anche qui tanti giovani accanto alle autorità e ai protagonisti di questa "primavera". «Prima non vedevamo la possibilità di opporci. Eravamo soli. Come Noviello, ucciso perché lasciato solo – ricorda Luigi Ferruccio, presidente dell’associazione antiracket –. Oggi, invece, tante persone ci sono vicine, giorno e notte, dalle forze dell’ordine alle associazioni. Per questo – insiste rivolgendosi agli altri imprenditori – ora è davvero il momento di cambiare denunciando il racket. Se lo farete non sarete soli». Parole forti, convinte. Come quelle del procuratore aggiunto Federico Cafiero de Raho, capo della Dda di Napoli. «La strada è ancora in salita, la meta sembra lontana ma siamo a un punto tale che basta poco affinché possa diventare un discesa. Il risultato è vicino: battere la camorra e estirparla da questo territorio». Non meno chiare le parole del prefetto di Caserta, Carmela Pagano. «Questa terra, pur piena di contraddizioni, sta dando molti segni di speranza per il futuro. Contro la camorra non basta la forza. Serve una presenza positiva che crea rinnovamento e rigenerazione. E questa ora c’è, con un clima di grande collaborazione». Davvero il clima sta cambiando. E Massimo, pensando al suo papà può dire che «questi camorristi non sono poi così forti come si vuol far credere».A LEZIONE DI LEGALITÀ - GLI STUDENTI SCRIVONO AI CAMORRISTI«Casal di Principe è un paese schiacciato dalla presenza ingombrante della camorra che è viva in ogni angolo del paese, gestisce e distrugge tutto ciò che si può e si potrebbe costruire». Lo scrive Sabrina della III B dell’Istituto tecnico del paese "patria" del più potente clan camorrista. Ma poi aggiunge: «Non vogliamo leggere negli sguardi delle persone che incontriamo altrove la paura perché noi siamo casalesi». Roberta, della IV C della scuola elementare Ragazzi d’Europa di Casalnuovo di Napoli, si rivolge invece direttamente a un camorrista: «Voglio farle due domande. Perché uccidi le persone? Perché chiedi i soldi a chi lavora onestamente? Ricordati di quando eri piccolo come me e avevi tanti amici con i quali giocare, oggi sei un animale braccato e tutti provano ribrezzo per te». Alessio, infine, della III A delle medie Kennedy di Cusano Mutri, immagina di essere il fratello di un ragazzo ucciso in una sparatoria tra clan, che sul diario di scuola aveva scritto: «Questa sera non vorrei partecipare...non voglio andare...io so che è sbagliato, ma non c’è alternativa. Se parlo mi sparano, non so dove scappare, forse se vado con loro tornerò! Non so a chi rivolgermi, sono solo!». Sabrina, Roberta e Alessio sono i vincitori del premio letterario don Diana, promosso dalla Scuola di Pace, da Libera Caserta e dal Comitato don Peppe Diana. Un’iniziativa che ha avuto un enrome successo: vi hanno partecipato più di 100 scuole della Campania che hanno inviato più di mille elaborati che avevano come tema "lettera ai propri concittadini" e "lettera a un camorrista". Lavori intensi, pieni di giovanile entusiasmo. Facce pulite e capaci di riflessioni profonde sulla propria terra. E in tanti, a centinaia, hanno riempito il grande cortile del santuario Madonna di Briano che da anni, sotto la guida di don Paolo Dell’Aversana, è luogo e simbolo della lotta alla camorra. A premiarli è il vescovo di Aversa, monsignor Angelo Spinillo. Scende tra loro e riflette sul cambiamento che questa terra sta vivendo. «È la vittoria della vita, la vita che vuole crescere». Cita S.Arsenio che all’età di 90 anni così pregava Dio: «Nella vita non ho fatto forse nulla di buono, dammi il dono di cominciare ora». E allora, parla ai ragazzi, «oggi noi possiamo dire che ci sono tanti segni di cambiamento per la nostra terra. Il più importante è stato don Peppino Diana che ha dato il meglio di sé e poi la sua vita per il suo popolo. Questo è davvero un segno di speranza». Come queste centinaia di piccole mani che lo applaudono.GLI IMPRENDITORI «NO PIZZO» - ANCHE GLI ALTRI TROVINO UN LAVORO ONESTOOre 17,32. Sul piccolo palco sale la star della giornata. Bianca, ottima, pulita. Doppiamente pulita, perché la mozzarella che Massimo Rocco, presidente della cooperativa "Le terre di don Peppe Diana" consegna a don Luigi Ciotti e a Emilio Diana, fratello del parroco ucciso dalla camorra, è la prima prodotta nel caseifico sorto sui terreni confiscati alla camorra. Mozzarella della legalità che, come annuncia il presidente di Libera, sarà "ospite" il 2 giugno al Quirinale in occasione della festa della Repubblica, con tutti gli altri prodotti delle cooperative che lavorano sui beni strappati ai clan. «Assieme alla mozzarella è "invitato" al Quirinale don Peppe Diana – dice don Ciotti –, un sacerdote ucciso dalla camorra perchè era innamorato di Dio, della sua terra e del suo popolo, capace di saldare la terra con il cielo. Ma oggi don Peppe ci invita a fare di più». Proprio come queste ottime mozzarelle (sono anche biologiche), frutto del lavoro dei cinque soci (Massimo, Teo, Mario, Roberto, Enrico) e anche di 2 tirocinanti del progetto"Nuove opportunità", nato dalla collaborazione tra la il Tribunale minorile di Napoli e Libera. Mozzarella, e il lavoro per produrla, come occasione di riscatto anche per questi ragazzi. Lo sottolinea con forza Massimo Rocco. «Dobbiamo smetterla di rassegnarci al potere della camorra, trasformando lo sdegno in impegno, l’indignazione in dignità, non tacendo, come ci invitava a fare don Peppe». E producendo una mozzarella che «ha un gusto di legalità e responsabilità» e che «non vediamo l’ora possa dare lavoro a altri ragazzi come noi». Davvero, come si legge all’ingresso del caseificio, «qui la camorra ha perso». Una mozzarella che, sottolinea Valerio Taglione, scuot di don Peppe e responsabile di Libera Caserta, «ha l’inconfondibile sapore del traguardo raggiunto, frutto di un percorso fantastico. Ora - aggiunge - va avviata una nuova fase che diffonda sul territorio altre buone pratiche di economia sociale». «Un sogno che si realizza -commenta Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione con il Sud, che sostiene da tempo la cooperativa -. É la dimostrazione che è possibile fare bene, giorno dopo giorno, per cambiare finalmente questo territorio».  Una piccola-grande mozzarella «per ridare libertà e dignità alle persone - conclude don Ciotti -. Tutti insieme. Perché è il "noi" che vince. Oggi è la festa di tutti noi!».
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