giovedì 3 novembre 2022
Aram è partito da Smirne ed è arrivato a Santa Maria di Leuca. Sulle spalle il fratello paraplegico
Sulla rotta turca, tra bambini e disabili

Caritas

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Chi sono le persone che tentano la fortuna sulla rotta turca, quella su cui sono morti a decine, due giorni fa, nel mare Egeo? Sono tante famiglie, tanti bambini, tanti afghani (in forte crescita) e poi curdi, iraniani, iracheni, siriani e palestinesi. E disabili, anche loro in crescita. Come Azad, paraplegico curdo iracheno, sbarcato a Santa Maria di Leuca (Lecce) il 29 ottobre portato sulle spalle dal fratello Aram. Con loro, la moglie di Aram e quattro figli. Venivano da Smirne, lo stesso porto da cui sono partite le barche naufragate. A raccontarci la loro e altre storie è Massimo Buccarello, mediatore della Caritas diocesana di Ugento- Santa Maria di Leuca, che interviene sempre in occasione degli approdi nel territorio del “tacco d’Italia”. Arrivi sempre più frequenti in queste settimane con storie sempre più drammatiche.

«Aram, 37 anni, è sceso dalla barca col fratello sulle spalle, lo ha adagiato sulla banchina; terminate le operazioni di assistenza e riconoscimento, lo ha ripreso in spalla e lo ha caricato sul pullman. Allo stesso modo lo ha trasportato da Suleimania a Smirne per scappare dal disastrato Kurdistan iracheno». Le tre figlie, racconta ancora Massimo, «erano felici di aver toccato terra e badavano allo zio scherzando assieme a lui a agli operatori. La moglie era in ambulanza col figlio più piccolo di 3 anni, che necessitava di cure urgenti e probabilmente anche lui con qualche forma di disabilità».

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Un viaggio molto brutto quello che ha portato 83 persone in Puglia. «Cinque giorni di viaggio, hanno avuto vento forte e onde molto alte. Un mare spaventoso. Erano tutti bagnatissimi. Stipati, in pessime condizioni fisiche, molti con le gambe gonfie per l’immobilità. Quando approdano sulla banchina e toccano terra, si muovono come intontiti, barcollano. È stato necessario fare arrivare due ambulanze». Anche nella prima barca, arrivata sempre il 29 ottobre, con 104 persone, c’erano quattro disabili, tra i quali tre minori. Anche un bambino in sedia a rotelle. Ha viaggiato così, era tutto organizzato nello spazio. «Abdul, iraniano di 34 anni, è sceso dalla barca e si è avvicinato zoppicando. Ci ha fatto capire di avere un’emiparesi scusandosi di non essere sceso prima». C’è tanta dignità in queste persone. Come Abibullah, professore di chimica afghano, di 70 anni, 45 di insegnamento, arrivato con la moglie, i figli, tifosi di Alessandro Del Piero, un fratello con la sua famiglia.

«Lui e la moglie erano elegantissimi. Aveva un abito completo, giacca e pantalone, tipico del suo Paese. Ha scritto a penna il suo nome complicato sul brick del succo di frutta, poi ha tirato fuori dalla borsa della moglie una boccettina di profumo e ha spruzzato me, don Lucio, lui e la moglie. Un gesto di amicizia». Mentre il fratello «era emozionato nel sapere che il posto dove erano attraccati portava il nome della figlia Mariam». Gruppi familiari completi con nonni e zii. Anche persone di ceto medio. « L’onda lunga della presa del potere dei Taliban ha bagnato il molo di Leuca. Fanno uno o due mesi di viaggio per raggiungere la Turchia e imbarcarsi». Famiglie numerose, ma anche donne sole coi figli. Alcune giovani. Come Johni, palestinese, con la sua piccola di 5 anni «che scappa da un altro infinito conflitto». Davvero tante storie nelle parole di Massimo.

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«Due giovani genitori, lei turca e lui curdo, con i loro due figli, una neonata, composti, gentili nelle loro richieste di aiuto. Gli abbiamo portato l’acqua calda per diluire il latte in polvere». Masoma «raccontava senza posa il suo viaggio assurdo verso la Turchia scappando dai talebani. E poi le onde alte del viaggio in mare». Merhab Ali «chiedeva informazioni su chi eravamo, ringraziando con le lacrime chi lo aveva salvato. Nei loro occhi un sorriso, quello di chi, nonostante tutto, è ancora vivo». Non così purtroppo tre giorni dopo.

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