martedì 6 febbraio 2024
Nel 2024 si sono uccisi già 15 detenuti, gli ultimi due a Verona e Caserta. I Garanti: «Risorse per la sanità». Don Vinco: «Le aziende diano lavoro ai reclusi».
Suicidi in cella, la strage silenziosa: «Servono più medici e psichiatri»
COMMENTA E CONDIVIDI

Quindici detenuti si sono tolti la vita nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno: una carneficina. Il vortice della morte dunque non si ferma, nonostante le denunce dei Garanti e l’impegno quotidiano di polizia penitenziaria, cappellani, mediatori culturali e dei circa 17mila volontari che prestano servizio “dietro le sbarre”. Le ultime due tragedie si sono consumate nella solitudine delle celle delle Case circondariali di Caserta e Verona.

Domenica scorsa, nell’istituto penale casertano di Carinola, si è impiccato, con una cintura legata al termosifone, un disabile di 58 anni: si chiamava Carmine, era recluso nella sezione dei “sex offender” e costretto a vivere su una sedia a rotelle. Sabato notte, invece, nella prigione scaligera di Montorio, usando un lenzuolo annodato alle sbarre, ha deciso di morire un cittadino ucraino di 38 anni: era stato dimesso da pochi giorni dal reparto psichiatrico perché aveva già tentato di suicidarsi, lascia la moglie e una figlia piccola. È una crisi insostenibile quella che sta incrinando l’intero sistema penitenziario: nei 189 istituti di pena italiani ogni giorno si muore (20 sono stati, peraltro, dal 1° gennaio, i decessi di detenuti per cause diverse dal suicidio) e scoppiano con frequenza impressionante risse, aggressioni, rivolte.

Si impongono interventi immediati da parte del governo, ma non serve il “pugno duro”: sovraffollamento di strutture spesso vetuste e malsane, gravi carenze negli organici di agenti penitenziari (ne mancano 18mila) e degli altri operatori sono le cause principali di un’emergenza che si trascina ormai da troppo tempo. Quello del detenuto ucraino con disagi pricologi conclamati è il quinto suicidio a Verona in meno di tre mesi. «Ogni dramma però è diverso dall’altro, spesso si dimentica che stiamo parlando di persone con una loro storia di sofferenza - commenta don Carlo Vinco, Garante comunale dei detenuti, una vita a fianco degli “ultimi” -, perché chi finisce “dentro” viene sempre da situazioni di povertà, economica ma anche culturale e familiare. C’è bisogno innanzitutto di relazioni e di lavoro: a Montorio, 550 detenuti in un edificio che ne può contenere al massimo 335, mancano le opportunità, non bastano la scuola, i corsi di formazione e i pochi laboratori attivati, nessuna azienda del Veronese a cui ci siamo rivolti ha risposto all’appello per dare lavoro ai reclusi all’interno della struttura, in base alla legge Smuraglia che prevede agevolazioni alle imprese ». Secondo Samuele Ciambrello, garante regionale della Campania, la regione più colpita dalle morti in cella (a Napoli Poggioreale, in gennaio, tre suicidi in dieci giorni), «la tendenza dei suicidi in carcere in Italia, dove il tasso è 20 volte superiore a quelli delle persone libere, è sorprendente soprattutto per la politica che è indifferente: occorrono risposte concrete qui e ora, prima che ci sia l’irreparabile». Il ministro Carlo Nordio, intanto, parla di un piano “Recidiva zero”, con la ristrutturazione di vecchie caserme da adattare a carcere e lavori di ristrutturazione da far realizzare agli stessi detenuti. Le nuove prigioni sarebbero destinate a quei condannati per reati meno gravi e a ridotto allarme sociale in via di scarcerazione. Per la presidente del Consiglio Giorgia Meloni la soluzione è avere «più posti» e non «togliere i reati, come vuole la sinistra». «Il sovraffollamento si risolve ha detto ieri la premier parlando a Tokyo - aumentando la capienza delle carceri, assumendo e sostenendo la polizia penitenziaria, come abbiamo fatto: è l’unica risposta seria che può dare uno Stato. Non sono d’accordo - ha precisato - che persone colpevoli non seguano il corso dei procedimenti giudiziari ».

Ma si pensa anche di assumere medici, psicologi e psichiatri da destinare agli istituti di pena in un’azione coordinata con autorità sanitarie, enti locali, comunità terapeutiche e ordini professionali. Lo ha detto ad Avvenire Irma Conti, del Collegio nazionale dei garanti per le persone private della libertà personale presieduto da Maurizio D’Ettore che si è insediato da un paio di settimane. «Le risorse per potenziare la sanità, fisica e psichica, dei detenuti sono indispensabili – sostiene Conti – e devono essere tra le prime risposte al problema del sovraffollamento ». In attesa di varare un piano di interventi da sottoporre al governo, il Collegio dei garanti ha iniziato un giro di incontri per conoscere più da vicino la realtà carceraria. «Siamo già stati in 4 strutture della Campania e abbiamo parlato anche con tanti detenuti che ci hanno dimostrato disagi e difficoltà, abbiamo in agenda altre visite».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: