Anna Oliverio Ferraris«Dobbiamo ricondurre l’impulso a un ragionamento razionale»Adolescenti, ovvero impulsivi: in un istante decidono e mettono in atto. E a spingerli verso l’estremo può bastare quello che all’occhio adulto sembra un nonnulla, ma che per loro significa tragedia: «Una delusione da parte degli amici o della persona amata, una brutta figura di fronte al mondo, che poi magari è solo un brutto voto preso a scuola. Ma sempre più spesso emerge anche una depressione giovanile, legata magari alla situazione familiare che genera infelicità...». C’è un po’ di tutto nell’analisi proposta da Anna Oliverio Ferraris, docente di Psicologia dell’età evolutiva alla Sapienza di Roma e autrice di un recente libro dedicato ai suicidi adolescenziali ("Chiamarsi fuori", ed. Giunti), quasi un riassunto delle due vicende avvenute ieri.Due casi molto diversi, comunque.Entrambi hanno scelto una morte plateale, ma poi ogni storia è sempre a sé. Il ragazzino di Potenza, pare deluso per un amore finito, si è ucciso per rimanere sempre nella memoria della sua ragazzina: come a dirle tu mi volevi scordare e io entrerò per sempre nella tua memoria. Inoltre era stato adottato e questo potrebbe comportare nel suo passato fratture antiche con una figura di riferimento... ma va detto che certo non tutti i figli adottivi reagiscono così. Certo è che in entrambi i casi di ieri si vede la propensione a vivere le difficoltà della vita come drammi insostenibili.È un atteggiamento tipico degli adolescenti, un aspetto fondamentale della loro impulsività: a questa età si decide tutto in tempi brevi e un qualsiasi fatto negativo riempie il loro orizzonte attuale, non si vede altro. A una ragazzina fragile può bastare il considerarsi bruttina in un mondo che valorizza l’aspetto estetico, per sentirsi infelice... Per questo bisognerebbe che ci fosse sempre una persona adulta pronta a mostrare loro l’altra faccia della medaglia, che riconduca l’impulsività a un ragionamento razionale. Che insomma dia loro la forza per superare il disagio.Ma come può essere che un ragazzino non abbia la forza per dimenticare un amore perduto o la vergogna della bocciatura, ma poi trovi il coraggio per gettarsi sotto il metrò o darsi fuoco?Sono adolescenti che non hanno la percezione del dolore cui andranno incontro, si buttano sotto il treno che arriva senza pensare all’impatto. Vivono davvero solo l’istante presente, agiscono d’impulso, infatti di solito non premeditano. La ragazzina di Milano ha agito così...Non il ragazzo di Potenza, però.Il suo invece è un gesto certamente preparato, ha persino scelto lo scenario al centro del quale urlare la sua autoaffermazione.Secondo la sua inchiesta, c’è qualche differenza tra ragazzi e ragazze che arrivano a scelte estreme?I ragazzi riescono più spesso a morire, le ragazze frequentemente si fermano al tentativo di suicidio ma sopravvivono: agiscono con meno determinazione perché non cercano di morire, la loro è invece una richiesta di aiuto, comunicano che stanno male. Non è però il caso della adolescente milanese: lei ha scelto un metodo "maschile", drastico, era determinata...C’è una recrudescenza di questi casi?In Italia minima, non significativa. D’altronde si sa che l’adolescenza è una fase critica. Poi, verso i vent’anni, l’impulsività cala anche per motivi fisiologici: prima di quell’età la corteccia prefrontale nel cervello, quella che appunto regola questo agire improvviso, non è ancora del tutto mielinizzata. Si capisce bene, allora, quanto sia fondamentale la vicinanza di un adulto che nel momento critico, del dolore, sappia ragionare con e per loro.
Un quindicenne si toglie la vita a Potenza, una coetanea tenta di farlo a Milano. Ogni anno nel nostro Paese ci sono circa 160 ragazzi al di sotto dei 24 anni che decidono di farla finita. Negli ultimi due decenni si è registrato un aumento del 13 per cento Tragedie che sconvolgono.
Anna Oliverio Ferraris«Dobbiamo ricondurre l’impulso a un ragionamento razionale»Adolescenti, ovvero impulsivi: in un istante decidono e mettono in atto. E a spingerli verso l’estremo può bastare quello che all’occhio adulto sembra un nonnulla, ma che per loro significa tragedia: «Una delusione da parte degli amici o della persona amata, una brutta figura di fronte al mondo, che poi magari è solo un brutto voto preso a scuola. Ma sempre più spesso emerge anche una depressione giovanile, legata magari alla situazione familiare che genera infelicità...». C’è un po’ di tutto nell’analisi proposta da Anna Oliverio Ferraris, docente di Psicologia dell’età evolutiva alla Sapienza di Roma e autrice di un recente libro dedicato ai suicidi adolescenziali ("Chiamarsi fuori", ed. Giunti), quasi un riassunto delle due vicende avvenute ieri.Due casi molto diversi, comunque.Entrambi hanno scelto una morte plateale, ma poi ogni storia è sempre a sé. Il ragazzino di Potenza, pare deluso per un amore finito, si è ucciso per rimanere sempre nella memoria della sua ragazzina: come a dirle tu mi volevi scordare e io entrerò per sempre nella tua memoria. Inoltre era stato adottato e questo potrebbe comportare nel suo passato fratture antiche con una figura di riferimento... ma va detto che certo non tutti i figli adottivi reagiscono così. Certo è che in entrambi i casi di ieri si vede la propensione a vivere le difficoltà della vita come drammi insostenibili.È un atteggiamento tipico degli adolescenti, un aspetto fondamentale della loro impulsività: a questa età si decide tutto in tempi brevi e un qualsiasi fatto negativo riempie il loro orizzonte attuale, non si vede altro. A una ragazzina fragile può bastare il considerarsi bruttina in un mondo che valorizza l’aspetto estetico, per sentirsi infelice... Per questo bisognerebbe che ci fosse sempre una persona adulta pronta a mostrare loro l’altra faccia della medaglia, che riconduca l’impulsività a un ragionamento razionale. Che insomma dia loro la forza per superare il disagio.Ma come può essere che un ragazzino non abbia la forza per dimenticare un amore perduto o la vergogna della bocciatura, ma poi trovi il coraggio per gettarsi sotto il metrò o darsi fuoco?Sono adolescenti che non hanno la percezione del dolore cui andranno incontro, si buttano sotto il treno che arriva senza pensare all’impatto. Vivono davvero solo l’istante presente, agiscono d’impulso, infatti di solito non premeditano. La ragazzina di Milano ha agito così...Non il ragazzo di Potenza, però.Il suo invece è un gesto certamente preparato, ha persino scelto lo scenario al centro del quale urlare la sua autoaffermazione.Secondo la sua inchiesta, c’è qualche differenza tra ragazzi e ragazze che arrivano a scelte estreme?I ragazzi riescono più spesso a morire, le ragazze frequentemente si fermano al tentativo di suicidio ma sopravvivono: agiscono con meno determinazione perché non cercano di morire, la loro è invece una richiesta di aiuto, comunicano che stanno male. Non è però il caso della adolescente milanese: lei ha scelto un metodo "maschile", drastico, era determinata...C’è una recrudescenza di questi casi?In Italia minima, non significativa. D’altronde si sa che l’adolescenza è una fase critica. Poi, verso i vent’anni, l’impulsività cala anche per motivi fisiologici: prima di quell’età la corteccia prefrontale nel cervello, quella che appunto regola questo agire improvviso, non è ancora del tutto mielinizzata. Si capisce bene, allora, quanto sia fondamentale la vicinanza di un adulto che nel momento critico, del dolore, sappia ragionare con e per loro.
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