sabato 13 gennaio 2024
La difesa di Rosa Bazzi e Olindo Romano ha riunito 15 esperti di scienze del comportamento. Sartori (Università di Padova): nella sentenza si va contro i dati scientifici sulla memoria
Olindo e Rosa durante il processo per la strage di Erba

Olindo e Rosa durante il processo per la strage di Erba - Fotogramma

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Mancano quasi due mesi all’udienza davanti alla Seconda sezione della Corte d'appello di Brescia, ma è già accesissimo il dibattito sulle nuove prove che saranno portate in aula al fine di ottenere la revisione della sentenza di condanna all’ergastolo per Rosa Bazzi e Olindo Romano. In particolare, una nuova perizia sui coniugi evidenzierebbe disturbi psicopatologici in entrambi e deficit cognitivi nella donna. Inoltre, tra i testimoni che rientrano nella richiesta portata avanti dai legali, vi è anche la testimonianza di un tunisino, Abdi Kais, secondo il quale nell'ordinanza di custodia cautelare che lo portò in carcere per droga mancavano alcune intercettazioni effettuate anche nella casa del massacro.


Giuseppe Sartori è stato protagonista scientifico di casi giudiziari che hanno fatto il giro del mondo per il ruolo innovativo svolto dalle neuroscienze. Professore di Neuropsicologia e Psicopatologia Forense presso l’Università degli Studi di Padova, è uno dei 15 studiosi di scienze del comportamento che la difesa di Rosa Bazzi e Olindo Romano ha arruolato per la revisione del processo sulla strage di Erba. In questa intervista racconta per la prima volta alcuni degli elementi chiave che sono stati presentati al fine di ribaltare la sentenza definitiva di condanna. L’esito è tutt’altro che scontato, e sui media si sono riformati i “partiti” dei colpevolisti e degli innocentisti. È quindi utile considerare che cosa ci potrà essere di nuovo in aula dopo tanti anni, senza sottovalutare il peso delle prove di colpevolezza già acquisite.

Com'è nato il super gruppo di esperti, consulenti della difesa?

Parlo solo per gli specialisti che si sono occupati degli aspetti comportamentali (riconoscimento e confessione). Io sono stato contattato dagli avvocati e, dopo aver iniziato a studiare il caso, mi sono reso conto che erano necessarie competenze in diversi settori per poter produrre una consulenza tecnica efficace. Ho perciò coinvolto i migliori esperti a livello nazionale ed internazionale nei vari settori (riconoscimento facciale, false confessioni, tecniche d'interrogatorio, decodificazione del parlato degradato…). I colleghi si sono subito dimostrati motivati vista la rilevanza scientifica e tecnica della vicenda.

La richiesta di revisione si basa sulla presunta incoerenza scientifica di alcune parti probatorie della sentenza. In particolare, il riconoscimento di Olindo Romano da parte del sopravvissuto alla strage. Ci può spiegare?

La revisione richiede che vengano prodotte nuove prove, le quali devono incidere sulle argomentazioni che hanno in origine portato alla condanna. Dallo studio delle sentenze, è emerso che alcune argomentazioni su punti molto importanti confliggono chiaramente con risultati scientifici consolidati in questo ultimo decennio. Ad esempio, si afferma che il ricordo migliora con il tempo e “matura”. Questa argomentazione serve a spiegare perché Frigerio, l'unico testimone oculare, cambia versione sull'identità dell'aggressore: prima lo descrive come uno sconosciuto e poi lo “riconosce” in Olindo Romano, persona a lui molto familiare. Ebbene, dal punto di vista scientifico, il ricordo non migliora, bensì peggiora con il tempo. Inoltre, se è familiare, il volto viene riconosciuto immediatamente. Non esiste, scientificamente parlando, la possibilità di riconoscere dopo molto tempo una persona che è stata percepita dapprima come sconosciuta. Il riconoscimento di facce familiari è automatico ed insopprimibile. Se Frigerio avesse visto Olindo Romano, avrebbe dovuto riferirlo subito, così dice l’esperienza scientifica che riguarda il riconoscimento di volti.

Viene messa in discussione anche la confessione. Su quali basi?

Nelle sentenze si afferma che un innocente mai confesserebbe qualcosa che non ha fatto. Negli ultimi 15 anni, ricerche hanno mostrato che la falsa confessione è evento tutt'altro che raro. Su 325 condannati, poi assolti in revisione con il test del Dna, il 25% si era autoaccusato di un crimine che non aveva commesso. L'unico modo certo per sapere se una confessione è vera consiste nell'identificare un'informazione (indicativa di colpevolezza) che gli inquirenti già non avevano. In questo caso manca questa caratteristica: i due condannati hanno un profilo che corrisponde a quello del tipico “falso auto-accusatore” e producono una descrizione dei fatti decisamente disancorata dai dati raccolti. Più che di una confessione si tratta di un sì o un no ad affermazioni fatte dall'interrogante. Manca del tutto un qualsivoglia racconto spontaneo della vicenda. Nelle piccole porzioni in cui il racconto è spontaneo, non corrisponde ai fatti.

Quali sono le altre incongruenze che la difesa ritiene palesi?

Nelle confessioni, i due condannati commettono tantissimi errori (ne sono stati elencati più di 200) e la presenza di questi errori è stata riconosciuta nella sentenza di appello. Una cosa particolarmente importante è che la scena del crimine era al buio (le 8 di sera di dicembre; la luce era stata staccata). Quindi, i due non potevano descrivere come erano vestite o posizionate le vittime, dato che non avevano avuto modo di vederle se non in penombra. È chiaro che queste informazioni hanno altre origini. Sappiamo oggi, dai giornalisti investigativi che si sono occupati del caso, che durante le confessioni i due indagati avevano davanti a sé le fotografie della scena del crimine. È così che hanno potuto dire qualcosa sulle caratteristiche visive di una situazione che non potevano aver osservato bene, perché l'azione è stata portata a termine al buio.

Perché, a suo parere, in tre gradi di giudizio questi temi non sono stati sollevati o ritenuti rilevanti?

Gli studi scientifici sulle false confessioni e sul riconoscimento di volti familiari non erano a disposizione all'epoca dei processi. Alla luce di queste nuove conoscenze scientifiche, il modo in cui vanno interpretate le confessioni e il riconoscimento di Olindo Romano da parte di Frigerio cambia moltissimo. Per quanto riguarda la condizione psichica dei condannati, nessun accertamento è stato fatto all'epoca dei processi, nonostante le ripetute richieste della difesa. Una delle prove nuove che abbiamo portato è lo studio neuropsicologico su Rosa Bazzi, che ha messo in evidenza una disabilità intellettiva. Questo dato è importantissimo, perché spiega come mai Rosa non sappia leggere, non conosca la sua data di nascita e non abbia compreso molte delle domande che le furono rivolte.



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