sabato 16 aprile 2011
Sedici anni e mezzo per l'ad Espenhahn. I giudici: colpevole di omicidio volontario. Accolte le richieste dell'accusa anche per gli altri cinque imputati: 13 anni e 6 mesi per Gerald Priegnitz, Marco Pucci, Raffaele Salerno e Cosimo Cafuerri. Aumentata a 10 anni la pena per Daniele Moroni. I 12 ex dipendenti senza lavoro chiedono di usare il risarcimento in ricollocazione e creazione di nuovi posti.
- I parenti delle vittime: abbiamo avuto giustizia
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Tutti colpevoli. Per la strage del 6 dicembre 2007 alla Thys­senKrupp di Torino che costò la vita a 7 operai, la corte d’Assise di Torino non ha fatto sconti e condan­nato tutti gli imputati – i vertici tede­schi e italiani del colosso dell’acciaio – a pene molto pesanti. La più dura per l’amministratore delegato Harald Espenhahn: 16 anni e mezzo. I giudi­ci lo hanno riconosciuto colpevole – ed è la prima volta nella storia delle vittime del lavoro in Italia – di omici­dio volontario con dolo eventuale. In altre parole per i magistrati, Giusep­pe De Masi, Angelo Laurino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò, Bruno Santi­no, Antonio Schiavone, Roberto Sco­la morirono perché nonostante l’ad del colosso di Essen, fosse al corren­te del rischio che correvano coloro che lavoravano su quella pericolosa linea di produzione, scelse di non metterla in sicurezza perché destina­ta a essere smantellata. Gli altri cinque dirigenti della Thyssenkrupp sono stati condannati per cooperazione in omicidio colposo. Tredici anni e mez­zo sono stati in­flitti a Marco Pucci, Gerald Priegnitz, Raffae­le Salerno e Cosi­mo Cafueri; a dieci anni e dieci mesi di reclusio­ne è stato con­dannato Daniele Moroni. I paren­ti delle vittime hanno accolto la sentenza con un ap­plauso e grida di approvazione. Sod­disfatto il commento del pm, Raffae­le Guariniello: «È una svolta epocale. Una condanna non è mai una vitto­ria o una festa. Però questa condan­na può significare molto per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro». La tragedia avvenne quasi tre anni e mezzo fa nella notte del 6 dicembre 2007, quando si verificò l’incendio al­la linea 5 dello stabilimento di corso Regina Margherita. Una vampata di fuoco che investì gli operai, ucciden­do immediatamente Antonio Schia­vone e nei giorni successivi gli altri sei. Il processo si era aperto il 15 gennaio 2009 per snodarsi per 94 difficili, tese e commoventi udienze nel corso del­le quali il fatto è stato analizzato dai tre pubblici ministeri, Raffaele Guari­niello, Laura Longo e Francesca Tra­verso. L’accusa aveva chiesto le pe­santi condanne proprio in conside­razione della particolare gravità dei fatti. «Se non si ravvisa il dolo even­tuale in un caso del genere – hanno sostenuto i pm – allora questo tipo di reato non esiste». Per i colleghi degli operai che si sal­varono lo choc fu devastante: alluci­nazioni, attacchi di panico, insonnia, crisi provocate da semplici odori di cucina in grado di ricordare le carni bruciate. Si tratta, come ha spiegato una consulenza medica, di disturbi post-traumatici da stress. Per la difesa, invece, si è sempre trat­tato di «un processo politico». In par­ticolare, l’avvocato Franco Coppi ha sempre cercato di smontare l’accusa di omicidio volontario nei confronti di Espenhahn. «Difendiamo – aveva esordito – una causa impopolare. Ma è impensabile credere che l’ammini­stratore delegato abbia accettato vo­lontariamente, solo per risparmiare sugli investimenti, un evento con del­le morti, come se fosse un bandito in fuga che spara sulla folla». Ieri, in un suo comunicato, la ThyssenKrupp de­finiva la sentenza «incomprensibile e inspiegabile». Di segno radicalmente opposto altri commenti, a partire da quello di An­tonio Boccuzzi, unico sopravvissuto alla strage e oggi parlamentare del Pd: «Chi ha sbagliato ha pagato – ha det­to – Dedico questa sentenza a tutti i morti di quella notte». Per il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, «la sen­tenza ha accolto il solido impianto ac­cusatorio e costituisce un rilevante precedente». Secondo il sindaco di Torino Sergio Chiamparino la deci­sione dei giudici «è commisurata al­la gravità del fatto». Di altro avviso Leopoldo Di Girolamo, sindaco di Ter­ni, città nella quale c’è la principale se­de italiana della ThyssenKrupp: «Cre­do che la sentenza sia punitiva nei confronti dell’azienda e dei lavorato­ri che ora si troveranno in difficoltà». Gli ex operai della Thyssenkrupp che si sono costituiti parti civili al processo chiedono che gli enti locali - Regione, Provincia e Comune di Torino - investano i soldi dei risarcimenti (2, 4 milioni di euro in totale) stabiliti dalla sentenza della Corte d'Assise in ricollocazione e creazione di nuovi posti di lavoro per i 12 ex operai rimasti disoccupati. «Tra i lavoratori costituiti parte civile - spiega Ciro Argentino, ex dipendente della multinazionale dell'acciaio - nel processo 12 sono ancora in attesa di un lavoro sicuro e dignitoso, come stabilito da un accordo siglato da azienda ed enti locali dopo la chiusura dello stabilimento che prevede la ricollocazione per tutti i lavoratori.  Gli enti locali, come le imprese, hanno i mezzi e le risorse necessarie per: intensificare i controlli ispettivi all'interno di tutti i luoghi di lavoro; creare nuovi posti di lavoro per gli operai ThyssenKrupp discriminati e per tutti quei lavoratori che hanno dovuto subire gravi infortuni sul lavoro o la chiusura di aziende dovute ad incidenti gravi . È solo una questione di volontà politica: come già avvenuto per altri nostri ex colleghi, nessuno di questi costituito parte civile nel processo, ricollocati nelle aziende municipalizzate, in particolare Smat e Amiat».
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