venerdì 27 marzo 2009
In Italia 3mila casi, ci sono nuove strategie di assistenza. Da Milano gli esperti chiedono strutture riabilitative mirate e sostegni domiciliari più efficaci: i risvegli dopo molti anni sono rari ma non impossibili.
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S e il disegno di legge sulle direttive anticipate sarà definitivamente approvato nel testo attuale, alle Regioni servirà fare tesoro di quanto gli esperti riuniti ieri a Milano hanno illustrato a proposito dei percorsi di cura delle persone in stato vegetativo. Infatti l’articolo 5 del ddl votato ieri prevede che venga loro assicurata l’assistenza domiciliare: la permanenza a casa – hanno confermato ieri medici e studiosi – si è rivelata elemento che offre maggiori possibilità di ripresa di questi pazienti. Tuttavia, ed è emerso ieri con altrettanta chiarezza, servono strutture dedicate per offrire cure riabilitative e presa in carico della persona, nonché sostegno alle famiglie e tanta ricerca scientifica. La condizione di stato vegetativo, dicono le statistiche, è prevista in crescita perché le migliori capacità di intervento della medicina rianimatoria se da un lato permettono di salvare un gran numero di persone, dall’altro non sempre garantiscono che l’esito sia un pieno recupero, anche per la maggiore incidenza di interventi sanitari su una popolazione sempre più anziana. La prevalenza di stati vegetativi, ha detto Sandro Feller (Dipartimento riabilitazione neurologica dell’ospedale di Garbagnate Milanese) è di circa 6 casi su 100mila abitanti, che corrisponde a circa 3mila persone in Italia. Di fronte a queste persone, le risposte delle strutture sanitarie e delle istituzioni è spesso insufficiente, in parte per le difficoltà diagnostiche, che si traducono anche in incertezze nei percorsi terapeutici e riabilitativi. Infatti, ha spiegato Anna Mazzucchi (neurologa della Fondazione Don Gnocchi), nonostante le migliori tecniche a disposizione per la diagnosi, che coinvolgono l’osservazione clinica, gli esami neurofisiologici e gli strumenti di neuroradiologia come la Pet (tomografia a emissione di positroni) e la risonanza magnetica funzionale, «resta un 25% di possibili errori diagnostici». E i dati della letteratura scientifica degli ultimi anni (per esempio gli studi di Adrian Owen) hanno mostrato che è difficile negare qualunque tipo di attività di coscienza in questi pazienti. Dati confermati da Rita Formisano (Fondazione Irccs S. Lucia, Roma) che ha mostrato le immagini di alcuni pazienti che, secondo le correnti definizioni, si stenta a inquadrare in diagnosi precise: «Questo è un problema serio, perché si rischia di lasciar fuori dall’assistenza pazienti che non rispondano a definizioni codificate». E se è ormai archiviata dagli scienziati la definizione di permanente legata allo stato vegetativo, anche le possibilità di miglioramenti dopo un anno dall’evento che ha causato lo stato vegetativo sono discusse: «Anche se rari, i casi di “risvegli” dopo i 12 mesi vanno pubblicati». Le incertezze dei medici sono state ribadite da Anna Estraneo (Fondazione Maugeri di Telese, Benevento): «Sfido chiunque a dare una risposta sicura sul recupero o meno della coscienza». In queste incertezze però le Regioni sono chiamate a dare risposte assistenziali. La Lombardia, hanno annunciato il governatore Roberto Formigoni e l’assessore alla Famiglia Giulio Boscagli, sta valutando di estendere il sostegno di 500 euro mensili che vengono erogate alle famiglie che hanno in casa un paziente affetto da sclerosi laterale amiotrofica a quelle che accudiscono un loro caro in stato vegetativo. Percorsi assistenziali post ospedale sono in sperimentazione anche in Trentino, Toscana, Friuli-Venezia Giulia, Campania, come hanno riferito alcuni rappresentanti delle Asl o delle regioni. Obiettivo consentire, dopo la riabilitazione intensiva, una presa in carico adeguata e «circolare» tra strutture di lungodegenza e domicilio.
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