mercoledì 11 dicembre 2013
Studio dell'Università Cattolica: nelle cellule cardiache il segreto per riparare l'infarto. Al Niguarda di Milano i dispositivi che si impiantano con una puntura.​ Il primo intervento oggi a Cotignola (Ravenna)
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Ogni anno, in Italia, 250 mila persone muoio­no a causa di malattie cardiovascolari, che si confer­mano come la prima causa di morte. Ma la ricerca sembra essere vicinissima a far vacil­lare questo triste primato. Due notizie alimentano le speran­ze nelle ultime ore. Partiamo dalla cosiddetta me­dicina rigenerativa. Per anni gli scienziati hanno ritenuto che il tessuto muscolare del cuore fosse costituito da cellule 'ter­minali', cioè non più in grado di riprodursi e benché meno di riparare un tessuto danneg­giato.
 
Ora sappiamo che non è così. Anzi. Una ricerca di car­diologi dell’Università Cattoli­ca - Policlinico Gemelli di Ro­ma, e del Brigham and Wo­men’s Hospital e Harvard Me­dical School di Boston, ha ri­velato che se l’efficienza con cui le cellule staminali cardia­che si replicano sarà soddisfa­cente, allora la ripresa delle condizioni di salute di un pa­ziente dopo un infarto o dopo un intervento di bypass coro­narico saranno ottimali. Le cellule staminali adulte, presenti nel tessuto muscola­re del cuore, non funzionano sempre bene; accade in un ter­zo dei casi di intervento di by­pass coronarico, oppure dopo un infarto o, ancora, dopo l’in­serimento di un pacemaker bi­ventricolare.
 
Il segreto di una ripresa che ga­rantisca una piena funzio­nalità in un paziente sog­getto ad uno di questi casi, sta proprio nella capacità di queste cellule 'ripara-cuore' che, in base alla loro forza ri­generatrice, diventano una sorta di marcatore per predire la prognosi di un paziente ma anche – e questa è la prospet­tiva più interessante – per co­stituire un bersaglio di nuove terapie in grado di potenziare il naturale processo autoripa­rativo del miocardio. La scoperta dell’équipe inter­nazionale, composta, tra gli al­tri, dai cardiologi della Catto­lica, Domenico D’Amario e Antonello Leone, e coordina­ta dal professor Filippo Crea a Roma, e dal professor Piero Anversa a Boston, è stata pub­blicata sulla prestigiosa rivista Circulation. «Finora – sottolinea Crea –, non era noto il motivo delle marcate diffe­renze nella prognosi di pazienti trat­tati allo stesso modo. Abbia­mo studiato 38 di loro - u­guali per età, per stato ge­nerale di salu­te, e per quel complesso di fat­tori che possono influenzare la prognosi - sottoposti a inter­vento di bypass coronarico, stabilendo una chiara associa­zione tra efficienza replicativa delle staminali cardiache e mi­glioramento della funzione cardiaca dopo bypass. Laddo­ve queste cellule si moltiplica­vano in modo efficiente la ri­presa contrattile del cuore do­po l’intervento era eccellente».
 
Ora i ricercatori cercheranno di comprendere in che modo, farmacologicamente, si po­tranno 'risvegliare' le stami­nali quando sono, per così di­re, assopite. L’altra 'rivoluzione' in campo cardiologico la comunica l’O­spedale Niguarda di Milano, u­no dei centri dove nelle pros­sime settimane saranno testa­ti i nuovissimi 'pacemaker leadless'. Molte le novità per questi dispositivi che nel no­socomio milanese, che ha te­nuto a battesimo la cardiochi­rurgia italiana, sono impian­tati dal 1961: il nuovo pace­maker wireless è miniaturiz­zato, 10 volte più piccolo del-­l’attuale, è senza fili, risiede in­teramente nel cuore, garanti­sce una longevità superiore e viene inserito nel cuore con un sistema transcatetere con una semplice puntura percutanea della vena femorale, dunque senza alcuna incisione sul to­race.Impiantato oggi il primo pacemaker wirelessProprio oggi, su una signora piemontese di 67 anni, è stato impiantato il primo pacemaker wireless, lo stimolatore del battito cardiaco senza fili dalle dimensioni estremamente ridotte (è lungo 4 cm e pesa 2 grammi). L’intervento, il primo in Italia, è stato eseguito nel “Maria Cecilia Hospital” di Cotignola (Ravenna), tra le 14 strutture al mondo scelte per la sperimentazione del rivoluzionario dispositivo.Per eseguire l’intervento, il professor Carlo Pappone e il dottor Gabriele Vicedomini, del dipartimento di Aritmologia dell’ospedale che fa parte del gruppo Gvm Care & Research, non hanno utilizzato la chirurgia: il pacemaker è stato infatti iniettato nella circolazione sanguigna utilizzando delle particolari sonde ed è stato fissato direttamente nella camera cardiaca. Un intervento mini-invasivo, dunque, che ha richiesto una semplice anestesia locale, ed è durato circa 30 minuti. La paziente che ha beneficiato dell’intervento era affetta da un rallentamento grave della frequenza cardiaca e da fibrillazione atriale, condizioni che causavano episodi di disorientamento e svenimenti. La paziente sarà dimessa domani. “Questo nuovo stimolatore rappresenta il primo importante passo per lo sviluppo di sistemi nano tecnologici per il trattamento dei disturbi del cuore – afferma Pappone -. Ci si attende che nel futuro tali dispositivi e tale tecnica di impianto rappresentino la base per il miglioramento della qualità e della durata della vita”.

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