sabato 20 luglio 2013
​Un rapporto del ministero della Salute ricostruisce la nascita della collaborazione tra gli Spedali Civili di Brescia e la fondazione “Stamina foundation onlus”. Le carte puntano anche sulla Regione Lombardia e su Luca Merlino, direttore vicario della sanità lombarda. Che è stato anche il primo paziente trattato. (Francesca Lozito)
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​Trecentocinquanta pagine dettagliate. Sta tutto nel rapporto datato 23 e 24 maggio 2012 – a conclusione dell’Ispezione di tecnici del ministero della Salute, Agenzia italiana del farmaco, Centro nazionale trapianti e Nas – il nodo dell’anomalia che si è verificata tra gli Spedali civili di Brescia e Stamina foundation onlus. Nasce così il divieto delle istituzioni ai biologi di Stamina di coltivare nel laboratorio bresciano le cellule staminali mesenchimali. Oggi, è solo per effetto delle sentenze dei tribunali che il personale di Stamina continua a operare in una struttura pubblica: un paradosso tutto italiano che l’approvazione della legge non è riuscita ad arrestare.Il rapporto ricostruisce la nascita della collaborazione tra ospedale pubblico e fondazione privata, sottoscritto il 28 settembre 2011 da Davide Vannoni e l’allora direttore generale degli Spedali Civili Cornelio Coppini (nel frattempo deceduto). La documentazione passa anche per la Regione Lombardia dove la visiona per competenza dei servizi sanitari sul territorio Luca Merlino, direttore generale vicario della sanità lombarda. E, contemporaneamente, è proprio Merlino il primo paziente trattato agli Spedali Civili da Stamina: è affetto da circa 20 anni da una malattia rara. Lo ha ammesso lui stesso in una intervista alla trasmissione «Le Iene». Stamina dichiara nell’accordo di voler fare a Brescia un «centro di eccellenza per il trattamento e la conservazione di cellule staminali adulte».Il groviglio di equivoci di cui l’ospedale lombardo porta ancora i segni nasce però nei mesi precedenti. E oggi gli Spedali civili si trovano al collasso: dai 12 pazienti in lista prima della interdizione (affetti da Sla, Sma, Niemann Pick, diversi sono bambini), oggi per effetto dei ricorsi sono passati a 115. E devono in contemporanea continuare l’attività ordinaria.Ma c’è un equivoco di base su cui tutto viene messo in piedi a Brescia e su cui forza la mano ripetutamente lo stesso Vannoni: il metodo Stamina, non essendo una cura riconosciuta, come ha sottolineato anche lo stesso ministro Lorenzin, non può rientrare nell’alveo delle compassionevoli. Queste, infatti «devono rispondere ad alcuni requisiti fondamentali per ottenere il via libera del comitato etico – spiega Antonio Spagnolo, direttore dell’Istituto di bioetica dell’Università cattolica di Roma – come il beneficio effettivo al paziente, l’esclusione del rischio e la presenza di trial clinici almeno di secondo livello per altre malattie». Il rapporto ministeriale (che scaturisce da una segnalazione dei Nas nell’ambito dell’inchiesta torinese in cui Vannoni e 12 membri di Stamina sono accusati di truffa e somministrazione di medicinali guasti) rileva che questa documentazione non è presente per Stamina: anzi, si fa appello alla riservatezza dei dati a ragione di una richiesta di brevetto fatta dalla onlus torinese. Brevetto di cui è poi emerso il ritiro in Europa e il rigetto dall’Ufficio competente negli Stati Uniti. Sul quale Nature ha denunciato la ulteriore frode scientifica.Sul laboratorio poi c’è un vero pasticcio. A Brescia è possibile trattare le cellule staminali del sangue per i trapianti di midollo, che hanno una procedura diversa dalle mesenchimali. Le istituzioni chiedono dunque che sia uno dei 13 laboratori autorizzati alla produzione di qualità (Gmp) a fare le cellule, come era successo all’Ospedale Burlo Garolfo di Trieste, che aveva usato il San Gerardo di Monza come “farmacia cellulare”. Il 29 luglio 2011 gli Spedali Civili si appellano alla legge Turco Fazio del 2006 che regola le terapie cellulari al di fuori delle sperimentazioni cliniche. Chiedono la procedura d’urgenza per persone «in imminente pericolo di vita». Ma non usano cellule Gmp. Il 1° agosto Aifa risponde che se si tratta di «trattamento non ripetitivo» per tutelare i pazienti in pericolo nulla osta a procedere. Ma chiede a Brescia di assumersi la responsabilità sull’autocertificazione delle condizioni di laboratorio non Gmp. Dall’ispezione dell’8 maggio 2012 condotta da Nas e Aifa emerge poi che «le procedure di preparazione manipolazione del materiale biologico e la somministrazione di sospensione cellulare non identificabile per assenza di protocolli scientifici e di tracciabilità» non soddisfano «le norme generali e particolari di salute pubblica».  Mancano alcune garanzie di sicurezza come l’isolamento dall’ambiente esterno del laboratorio. Non è richiesta alcuna vestizione oltre le sovrascarpe. Così l’attività è interrotta. Salvo poi vederla ricominciare ad agosto dello stesso anno per mano del giudice.
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