mercoledì 22 marzo 2023
Un progetto dell’Acnur, con altri enti, per 358 rifugiati giunti nel nostro Paese: grazie a relazioni positive, molti hanno trovato casa e lavoro. Ecco le loro storie.
Stephanie e Cristina

Stephanie e Cristina - Courtesy of Unhcr

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«Siamo riuscite a creare davvero un rapporto di amicizia profondo, nonostante veniamo da culture diverse e siamo state cresciute ed educate diversamente... ». Roberta ha 25 anni e vive a Napoli. Capelli e occhi scuri, fisico minuto, lavora e studia psicologia all’università. La sua amica Sofia, incarnato chiaro e capelli castani, di anni ne ha 18. Ha lasciato l’Ucraina nel marzo del 2022, dopo l’attacco della Russia, ed è in Italia come rifugiata. Studia economia, suona la chitarra e scrive canzoni. Le due ragazze sono diventate buddies, cioè amiche, compagne di esperienze, grazie a un programma dell’Acnur dal nome emblematico, Community matching, pensato per favorire «l’incontro tra rifugiati e comunità locali in 10 città italiane», con «l’obiettivo di creare comunità più inclusive e favorire percorsi di integrazione». Un progetto realizzato dall’agenzia dell’Onu per i rifugiati insieme a Ciac e Refugees Welcome Italia, grazie al contributo economico dell’Istituto buddista italiano Soka Gakkai, nelle città di Torino, Bergamo, Milano, Padova, Bologna, Parma, Roma, Napoli, Bari e Palermo.

Uno scambio reciproco​

Quello fra Sofia e Roberta è solo uno dei 358 match fra persone realizzati, che hanno coinvolto uomini e donne, adulti e ragazzi di 41 nazionalità. «Un’esperienza umana, che mette sullo stesso piano due persone, non come un dare e un ricevere unilaterale - racconta ancora Roberta -, ma proprio come uno scambio continuo e reciproco». La pensa così anche un altro partecipante al progetto, il rifugiato palestinese Abdulrahman Shabanah, residente a Roma: «La mia vita è cambiata, sotto ogni aspetto. Così come per i percorsi di accoglienza o per i corsi di italiano, ogni rifugiato dovrebbe avere un buddy, dovrebbe essere offerto a tutti nei percorsi di integrazione». Considerazioni che ricorrono nelle affermazioni di altri partecipanti: una ricerca su 115 casi conferma come l’affrontare insieme la quotidianità abbia avuto risvolti positivi sulla «stabilizzazione lavorativa e abitativa», sulla salute e sul «senso di sicurezza» e su molti altri aspetti.

Faizal e Ismail

Faizal e Ismail - Courtesy of Unhcr

Casa, lavoro, più sicurezza

Dati alla mano, a sei mesi dall’avvio del progetto, il 25% dei rifugiati intervistati ha trovato un lavoro, il 17% ha registrato un contratto d’affitto, il 50% ha migliorato la conoscenza della lingua italiana e l’86% ha dichiarato un aumento del benessere generale. Lo si legge nei sorrisi di tanti di loro: da Stephanie e Cristina, buddies a Torino, passando per Fazal e Ismail o Husna e Letizia a Parma, fino a Larissa e Benedetta o Yonas e Maura nella Capitale. «Chiunque di noi, arrivando in un Paese nuovo, trova beneficio nel costruire relazioni. Ciò è ancora più vero per un rifugiato che porta con se anche un bagaglio di vissuto dovuto alla fuga e al viaggio che è stato costretto ad affrontare», ragiona Chiara Cardoletti, rappresentante dell’Acnur per l’Italia, la Santa Sede e San Marino. Una delle sfide più grandi per i rifugiati in Italia, «è quella dell’integrazione. L’obiettivo del programma è di far sì che i rifugiati possano trovare un amico, un buddy appunto, che faciliti il loro percorso. E il programma permette loro di diventare autonomi e di contribuire all’economia come consumatori, lavoratori e imprenditori. Ciò porta benessere a tutta la comunità».

Sofia e Roberta

Sofia e Roberta - Courtesy of Unhcr

Fiorire di nuovo, dopo il trauma della fuga

Ne è convinta pure Fabiana Musicco, direttrice di Refugees Welcome Italia: «Le relazioni significative consentono a una persona di fiorire di nuovo, pur dopo molte difficoltà legate ai traumi di una migrazione forzata». Relazioni che, del resto, fanno bene anche ai buddies italiani. Lo conferma da Napoli la studentessa Roberta: «Non penso più che Sofia sia parte di un “progetto”, è una persona che considero veramente amica». Le fa eco Sofia: «Roberta è il mio sostegno. Mi aiuta con l’italiano e coi miei studi. Abbiamo parlato anche della guerra nel mio Paese. Mi sento meglio, perché so che lei mi capisce... ».

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