venerdì 29 aprile 2016
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MILANO Una rete di mujaheddin, alcuni pronti a colpire in Italia; altri con il biglietto per la Siria. Sono stati arrestati in sei (due sono però latitanti nelle terre del Daesh) tra Lecco e la Brianza. Aberramane Moutaharrik è un cittadino italiano nato 28 anni fa in Marocco. Anche Salma Bencharki, 26 anni, è nata in Marocco, ma ha fatto richiesta per ottenere la nostra cittadinanza. Un problema che non si pone per Zayad e Zaynab, il figlio e la figlia di 4 e 2 anni che vivevano con loro nella casa di Lecco. Lui lavorava in un’azienda che produce macchine per panifici. Ma la passione vera sembrava il Kickboxing. Diventato professionista, da 3 anni si allenava al Fight Gym Club Lugano. Un ragazzo realizzato. Non fosse che dopo ultima gara internazionale (25 settembre 2015, la 'Swiss Firgt Night') ha “postato” la sua performance su un sito internet col vessillo dello stato Islamico. L’ultima conferma come dice Lamberto Giannini, direttore centrale dell’Antiterrorismo, per la polizia che lo aveva agganciato da tempo e non l’ha perso di vista. Sino a misurare il parossismo dell’eccitazione. Per lui era arrivato il momento di colpire in Italia dove «non avete ancora visto niente». Doveva colpire da «lupo solitario», ha detto il procuratore Maurizio Romanelli, perché questa è la nuova strategia del cosiddetto stato islamico. Il primo obiettivo, l’ambasciata di Israele a Roma, non fosse che il contatto per procurarsi le armi da un albanese era poi fallito. Ma non per questo pensava di arrendersi: «Giuro che sarò io il primo ad attaccare questa Italia crociata, giuro, giuro l’attracco nel Vaticano con la volontà di Dio». La registrazione audio è del 25 marzo. È partita allora l’operazione cattura. Troppo alto il rischio per non dover sacrificare gli sviluppi delle indagini. Non pensava a un’azione kamikaze. Il suo sogno di martirio voleva realizzarlo in Siria, «nelle terre del Califfato», «il luogo dell’unificazione, la casa dell’islam». Perché solo lì può andare chi «vuole la libertà e la vita eterna». E solo lì avrebbe potuto mettere al sicuro la moglie e i figli. Un viaggio sognato a lungo. Un anno fa ne aveva persino parlato con sul suo allenatore, che era andato trovarlo in casa, insospettito per una sua assenza in palestra. Lui gli chiese anche di vendergli l’auto. Aveva bisogno di soldi per comperare, andata e ritorno per non creare sospetti, i biglietti aerei per Istanbul. Un desiderio il suo, non un ordine. Era già un uomo del Daesh, aveva già ricevuto la consacrazione il «poema bomba» da un misterioso «sceicco» che parla un arabo forbito. Un testo tra la nenia e la cantilena (per noi) con poche varianti, ma dedicato a chiunque esalta la violenza purificatrice, la«bellezza del colpire e fare fiamme». Ma insieme aveva avuto anche l’indicazione chiara dii non lasciare l’Italia e diventare qui un «leone combattente». L’affiliazione di Aberrahim e della moglie, per gli inquirenti persino più “fanatica” di lui, era stata mediata da Abderramane Kharkia, ancora un marocchino di 23 anni residente a Brunello (Varese.) Suo fratello di Oussama Kharkia era morto il 30 gennaio 2015 sotto un bombardamento a Ramadi, in Siria. Era per tutto il gruppo un’icona «il martire », l’esempio da seguire. Dall’Italia era stato espulso nel gennaio 2015. Ricomparso in Svizzera e di nuovo espulso, era approdato da ultimo in Siria dove funzionava per tutti gli “italiani” una testa di ponte, Mohammed Koraichi, 31 anni marocchino, che ha portato nell’area dei combattimenti tra Siria e Iraq tutta la famiglia: la moglie Alice Brignoli, 39 anni, unica nata Italia, e i tre figli, il più piccolo di un anno e mezzo. Era un operaio saldatore a Bulciago (Lecco) da dove l’anno scorso sono scomparsi. Nel 2010, nascita del secondogenito, aveva lasciato il lavoro. Si era fatto crescere la barba, aveva rimesso la tunica tradizionale e predicava in varie moschee, anche in quella di Viale Jenner a Milano. Viveva con con un sussidio di invalidità da 1.000 euro al mese, ma non doveva pagare bollette e affitti, «gli avevano dato una villetta», raccontava la moglie, compiaciuta per tutte le conquiste del marito. Ma quando si è decisa la partenza, lei, ha sostenuto, lo ha con tutte le sue forze incitato nell’impresa. «A morire per Allah, per combattere per le truppe del Daesh » se ne sono andati con la loro auto. Incuranti hanno lasciato ovunque tracce, dalla Bulgaria alla Turchia, con la loro carta di credito. A segnalare la scomparsa fu la madre di lei. Si presentò alla stazione dei carabinieri, raccontò di come le avessero allontanato i nipoti, come fosse cambiata quella sua figlia, che «aveva adottato il velo, disposta a passare al burka». I carabinieri hanno avuto conferme da alcuni responsabili dei centri culturali islamici. Ma il comandante del Ros non nasconde la sua inquietudine per la foto pubblicata su Wathsapp di quattro bambini «rapati come cipolle». Quattro, perché si è aggiunto il bimbo di un’altra delle due donne vedove di “martiri”, sposate a Mohammed. Sono tutti in tuta da combattimento. Dice il generale: «Potrebbero essere domani i protagonisti del terrore». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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