Noemi Di Segni presidente dell'Ucei - Ansa
Quello del 2024 non sarà “un altro” Giorno della memoria, perché «il 7 ottobre il mondo è cambiato», osserva la presidente dell’Ucei Di Segni, presentando un documento sull’utilizzo corretto dei termini Davvero il «mai più» ascoltato in tante manifestazioni, incontri, seminari, dibattiti sulla Shoah è convinto e consapevole se non, addirittura, sincero? Dal 7 ottobre, quando «il mondo è cambiato », abbiamo assistito a decine di momenti pubblici in cui sono stati urlati slogan contro Israele e gli ebrei in generale. Nelle piazze sono tornati i volantini che invitano a boicottare i prodotti “made in Israel”, con espressioni che accostano alla Shoah quanto sta avvenendo a Gaza. Uno sfregio in piena regola alla memoria dei sei milioni di ebrei assassinati nei campi di sterminio nazisti e un campanello d’allarme che ormai risuona da più di cento giorni. «Ci indirizziamo verso il Giorno della memoria, il 27 gennaio, con senso di grave preoccupazione e dopo il 7 ottobre non può essere partecipato come in ovvia continuità agli anni passati – osserva la presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche in Italia, Noemi Di Segni –. La coerenza e l’uso delle parole più importanti che segnano il percorso della memoria e del monito “mai più” devono essere utilizzate con la massima responsabilità e consapevolezza e arginando ogni abuso». Proprio perché le parole sono importanti, l’Ucei ha diffuso una nota, condividendo, oltre alla preoccupazione per il momento presente, anche alcune indicazioni “pratiche” sull’utilizzo di espressioni come, appunto, “Shoah”, “lager”, “occupazione”, “genocidio” e di simboli quali la stella gialla e l’immagine di Anna Frank. «Il sentimento che pervade i nostri cuori in queste settimane è quello di una profonda ferita e di offesa alla stessa memoria», sottolinea la presidente Di Segni. Aggiungendo che, «dinanzi alle assurde e aberranti accuse verso Israele e gli ebrei in generale, ribaltando e svuotando ogni concetto del suo vero senso», la comunità aveva anche pensato «di sottrarci a qualsiasi evento e ricordare i nostri 6 milioni di fratelli sterminati nella Shoah, tra noi, con le nostre preghiere, in modo lineare, rispettoso della loro sofferenza e memoria, delle nostre cicatrici come seconda e terza generazione, lontano dai media». Ma siccome «presidiare questo giorno e questo impegno di memoria » è necessario, allora serve un linguaggio condiviso, che sappia dare alle parole il giusto significato. Perché un termine come “Shoah” non può essere utilizzato a casaccio, ma sta a indicare l’unicità dei genocidio perpetrato contro il popolo ebraico. «Questo è ribadito non per disconoscere l’importanza delle altre tragedie, ma per fare comprendere la gravità della Shoah», insiste Di Segni. Che ribadisce: « Il Giorno della Memoria è dedicato unicamente al ricordo della Shoah». Senza possibilità di equivoci. E «non è un esercizio teorico», ma un momento «necessario » per «attualizzare i fenomeni del passato e saperli riconoscere nel presente ». E, dunque, circa l’attacco del 7 ottobre, osserva il documento dell’Ucei, «non possiamo tacere che nelle intenzioni di Hamas (e degli altri paesi collaboratori) vi sia un piano di sterminio del popolo ebraico, ribadito anche nello statuto, che parte da presupposti ideologici del fondamentalismo islamico». Che trova sostegno anche nelle piazze italiane, con «appelli al boicottaggio » e alla «demonizzazione di Israele», che, ricorda ancora la presidente Di Segni, sono «parte delle espressioni di antisemitismo ». Una deriva che preoccupa sempre di più anche le istituzioni europee, con l’eco dei fatti di Acca Larentia che è arrivata anche nell’aula del Parlamento di Strasburgo. «Ci sono attori negli Stati membri che sono attratti dall’uomo forte, che respingono la democrazia – ha denunciato la commissaria Ue agli Affari Interni, Ylva Johansson –. Sono ancora un’eccezione ma, anche se ai margini, i gruppi neofascisti sono un rischio. Serve agire con decisione e tutti insieme. Perché le democrazie muoiono se i democratici non agiscono. Il neofascismo è una sfida rivolta al sistema democratico», ha concluso Johansson. Ricordando che «il ministro degli Esteri italiano ha giustamente condannato il saluto romano fatto a Roma».