mercoledì 3 aprile 2024
Iniziata alla Camera la discussione generale. Opposizioni all'attacco, deputati della maggioranza precettati. La ministra non vuole lasciare ma ha invocato le dimissioni per casi molto meno eclatanti
La maggioranza serra i ranghi in attesa del voto

Ansa

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In un’aula semideserta va in scena il primo atto della mozione di sfiducia per Daniela Santanché con la discussione generale iniziata questa mattina a Montecitorio e sospesa poco dopo le 11. Solo un anticipo di quanto dovrebbe avvenire stasera con le dichiarazioni di voto e la chiamata a seguire (ammesso che non slitti a domani), ma abbastanza per rafforzare le posizioni delle forze politiche. L’assenza della diretta interessata e di Matteo Salvini (anche lui oggetto di una mozione di sfiducia prevista sempre per oggi), così come quella di buona parte del governo, non è un’indicazione dei propositi della maggioranza. Fratelli d’Italia ha già precettato tutti i suoi deputati per scongiurare eventuali scivoloni, vietando, pare, anche le assenze per missioni. E lo stesso vale per le altre due forze di governo, che risponderanno compatte alla chiamata della premier Giorgia Meloni (l'evento peraltro segna anche il ritorno dell'ex compagna di Silvio Berlusconi, Marta Fascina).

Al momento gli attacchi più duri vengono dai 5 stelle e dal Pd. Dall’interno dell’Aula, con gli interventi di Chiara Appendino e di Arturo Scotto, ma anche da fuori: il leader pentastellato Giuseppe Conte parla di «disonore delle istituzioni» che non ammette garantismo, perché in questo caso sono in gioco «la responsabilità politica» e «l’opportunità», che non hanno a che fare con il profilo penale della vicenda. «Meloni - aggiunge - scredita l'Italia se ministri con accuse così gravi restano al loro posto». Sulla stessa linea le dichiarazioni del dem Andrea Orlando, nella convinzione che dal centrodestra «diranno che bisogna aspettare il primo grado, poi il secondo, poi la Cassazione», ma «anche contando sui tempi della giustizia in Italia mi sembra sostanzialmente che la scelta del Governo sia quella di ritenere irrilevanti dal punto di vista politico le vicende processuali».

Fermo nei suoi propositi anche Carlo Calenda, concorde con Conte nel sostenere che la questione è politica ed estranea ai principi di garantismo, mentre Matteo Renzi, coerente con quanto detto nei giorni precedenti, assicura la sfiducia per Salvini (sempre perché la faccenda è puramente politica) ma non per Santanché, perché quella nei confronti della ministra è una mozione basata su «una doppia morale» e sul «giustizialismo».

A replicare ci pensa Matilde Siracusano, sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio, che accusa le opposizioni per «i toni utilizzati» che «non fanno onore al Parlamento» e per «la separazione dei poteri invocata a intermittenza». «Il Parlamento deve rispettare il lavoro della magistratura – prosegue – non anticipare i processi. Questa tipologia di dibattito potrebbe costituire un pericoloso precedente».

​Tutte le volte che la ministra ha invocato le dimissioni per gli altri

Restando al caso Santanché, in molti hanno fatto notare come la ministra del Turismo, per ora decisa restare dov'è, abbia invocato in più occasioni le dimissioni per casi molto meno eclatanti del suo, spesso con richieste reiterate e corredate da personali “campagne” condotte sui suoi profili social. L’esempio più celebre è quello che riguarda Josefa Idem, che prima di dimettersi da ministra dello Sport (governo Letta), fu invitata da Santanché a “tornarsene a casa” per l’Ici non pagata su una parte di un immobile a lei riconducibile. Circostanza decisamente meno grave rispetto a un’accusa per truffa (quella per cui sono state recentemente chiuse le indagini a carico della titolare del Turismo), ma evidentemente sufficiente per convincere la stessa Idem a lasciare e, a parti invertite, per sostenere la necessità di un passo indietro.

Ci sono poi le richieste indirizzate a Conte e a Speranza durante la pandemia da Covid-19 (all’epoca rispettivamente premier e ministro della Salute), colpevoli di aver tenuto chiuse strutture ricettive e sportive affossando decine di imprese.

La titolare dell’Interno dei governi Conte 2 e Draghi, Luciana Lamorgese, avrebbe invece dovuto dimettersi per il rave di Viterbo in cui morì un giovane partecipante. Mentre Nicola Morra, ex presidente della commissione Antimafia, fu invitato a lasciare per le sue parole inopportune a seguito della morte della presidente della Regione Calabria, Jole Santelli.

Alla lista vanno aggiunte le dimissioni invocate per il ministro della Giustizia del primo governo Conte, Alfonso Bonafede, colpevole di aver fatto uscire dal carcere boss mafiosi (sempre durante la pandemia), e per l’allora titolare dell’Istruzione, Lucia Azzolina, per la scelta dei banchi a rotelle. Infine Pasquale Tridico, presidente dell’Inps in quota 5 stelle, che sotto il governo gialloverde aumentò il suo stipendio e spese parole dure sulla mancata riapertura di alcune aziende: «Pasquale Tridico, presidente dell’Inps – scrisse su X la ministra –. Sputa sulla sofferenza, la liquidità assente, i debiti contratti con le banche perché obbligati dallo Stato...Dimissioni subito».


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