sabato 17 ottobre 2009
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Con un sistema pubblico di assistenza tra i più avari d’Europa le famiglie si affidano come possono al multiforme esercito dei collaboratori domestici, quasi un milione e mezzo di persone, in gran parte (76%) immigrate. È la via italiana ai servizi alla persona: un sistema che si è molto allargato negli ultimi anni ma che resta precario, parcellizzato, sottoqualificato e soprattutto sommerso (quando non addirittura clandestino). Eppure si tratta di un settore cruciale per il futuro del Paese. L’Italia invecchia e avrà sempre più bisogno di servizi alla persona. Mentre l’indebitamento dello Stato limiterà le risorse per l’assistenza pubblica alle famiglie, che già oggi ricevono solo il 4,4% della spesa sociale complessiva a fronte dell’8% della media Ue.L’esperienza di Paesi a noi vicini può esserci utile per sviluppare questo settore, come è emerso alla Conferenza europea sui servizi alla persona che si è conclusa ieri a Roma. L’obiettivo, spiega Natale Forlani, presidente di Italia Lavoro (l’Agenzia del ministero del Welfare che ha promosso l’incontro), è quello di consolidare un «approccio organico» ai servizi, costruendo una rete di prestazioni di facile fruizione per le famiglie, collegando la domanda e l’offerta di lavori domestici, e facendo emergere un ruolo più attivo degli Enti locali e un coinvolgimento di operatori intermedi come associazioni familiari, Caritas, imprese, ecc. In un’ottica, spiega, di «sussidiarietà nell’erogazione delle prestazioni». Per farlo è però necessario «ripensare la fiscalità» per agevolare il lavoro di cura, rendendo i suoi costi meno gravosi per ne fruisce senza penalizzare i lavoratori.Italia Lavoro e Ansp (agenzia francese) hanno presentato ieri una Carta europea dei servizi alla persona, un documento per promuovere la strutturazione di questo settore nella Ue. Le esigenze crescenti delle famiglie, spiega Forlani, tendono a far «crescere la domanda di servizi di cura più di quella degli altri comparti, svolgendo anche una funzione anticiclica». Lo sviluppo e la modernizzazione di questo settore diventa centrale tanto migliorare la qualità della vita dei cittadini che per sostenere l’economia e l’occupazione. Il mondo femminile ne sarebbe beneficiario due volte: la scarsità dei servizi infatti oggi penalizza l’occupazione femminile (il tasso italiano è tra i più bassi d’Europa), con la cronica difficoltà nel conciliare lavoro domestico e attività professionale; mentre la crescita del comparto darebbe a molte donne nuove opportunità di lavoro.Uno degli strumenti individuati anche all’estero per far emergere dal nero i servizi di cura delle persone è quello del voucher per il lavoro occasionale: si tratta di buoni (utilizzati inizialmente in agricoltura) con i quali si pagano le prestazioni e che comprendono una quota di contributi per il lavoratore. Una forma di retribuzione che si sta espandendo (in poco più di un anno ne sono stati venduti 2,7 milioni) e che ora va «banalizzata», come ha detto il presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua, cioè resa più facile da reperire e utilizzare. Un’altra «infrastruttura» su cui può crescere il comparto è, secondo Forlani, la social card, che i Comuni potrebbero alimentare per sostenere le esigenze di assistenza delle famiglie in difficoltà.L’attuale mercato italiano dei servizi, in gran parte sommerso, non è soddisfacente né per le famiglie né per i lavoratori: le prime hanno difficoltà a trovare informazioni e garanzie sui prestatori d’opera, i secondi operano in condizioni di precarietà e mancanza di diritti. In Francia ad esempio (vedi scheda) non è così, perché i prestatori d’opera sono in gran parte contrattualizzati da società di lavoro in somministrazione che gestiscono il servizio e si punta a professionalizzare il settore con la creazione di «marchi» nazionali. Accanto all’emersione dal nero serve infatti una qualificazione delle prestazioni, specie in settori delicati come la sanità, l’assistenza ai non autosufficienti e all’infanzia.
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