mercoledì 21 febbraio 2024
Quando si parla di cittadinanza mancata per i figli di genitori stranieri, bisogna tenere presenti i livelli minimi di 8-11mila euro, senza i quali l'iter si interrompe. I percorsi di Fioralba e Anna
Un sit-in per la cittadinanza ai figli dei genitori stranieri organizzato negli anni scorsi

Un sit-in per la cittadinanza ai figli dei genitori stranieri organizzato negli anni scorsi - Archivio Avvenire

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Fioralba è solo una bambina e ha tutti i polpastrelli macchiati di inchiostro «come un delinquente». Non è un gioco. Ai suoi compagni di scuola deve spiegare che non ha fatto nulla di male: è solo una procedura per rinnovare il permesso di soggiorno. Quell’inchiostro che durava giorni l’ha segnata anche dopo essere andato via. Anna invece frequenta la quinta elementare. È in aeroporto con le maestre e i compagni che come lei hanno i voti più alti in inglese. Sono stati scelti per una vacanza studio in Inghilterra. Prima di partire gli adulti intorno a lei si sono informati a lungo ed è stata rassicurata sul fatto che sarebbe andato tutto bene. «Cosa dovrebbe andare storto?», si chiede. In aeroporto ci mette poco a capirlo. Le cercano un visto che non ha. Vede i suoi compagni passarle davanti. Ormai mancano solo cinque minuti al decollo.
Oggi Fioralba e Anna sono due donne, ma certe esperienze non si dimenticano mai. Hanno studiato e vissuto qui per più di 20 anni, ma non sono ancora cittadine italiane. Fioralba Duma ha 33 anni e vive a Roma. È arrivata in Italia dall’Albania quando era 11enne e ricorda ancora le lunghe procedure, in fondo un po’ umilianti: «Adesso la raccolta delle impronte è stata digitalizzata, ma allora era così. Le giornate in questura per il rinnovo del permesso di soggiorno sono pesanti. Devi svegliarti prima dell’alba e saltare la scuola». Anna Smerechuk ha 29 anni e vive a Napoli, dove è arrivata quando ne aveva 7: «I problemi si sono ripetuti, ogni volta che ho provato a mettermi in viaggio, sia in Inghilterra che al ritorno in Italia. È stato angosciante».
Anche se Fioralba e Anna hanno maturato entrambe i 10 anni di residenza minima richiesti per ottenere la cittadinanza, finora non sono mai riuscite ad avere tutti i requisiti. Nel loro caso, l’ostacolo principale è una legge che impone un reddito minimo: oltre 8mila euro che salgono a più di 11mila per i nuclei familiari, da dimostrare in modo continuativo sia nei tre anni precedenti alla richiesta che in tutti quelli successivi, fino alla concessione della cittadinanza. Si tratta di un problema abbastanza comune tra i giovani di seconda e terza generazione. L’Italia ha numeri da record per il tasso di Neet (giovani che non studiano e non lavorano), il precariato e il cosiddetto “lavoro povero”. Questi fattori di rischio, che influiscono anche sugli italiani, sono ancora più diffusi nella popolazione straniera che spesso è impiegata nelle cosiddette professioni non qualificate e dai salari più bassi. Fioralba si è laureata in psicologia, ma il suo lavoro da comunicatrice per non-profit è saltuario e nel frattempo fa la mamma di due bimbe. Nonostante sia cresciuta qui, alla fine si è innamorata di un uomo albanese. Lui è architetto, ma il suo titolo in Italia non è ancora riconosciuto. Gli ultimi anni sono stati difficili, ma Fioralba spera di riuscire presto ad avere i requisiti per la cittadinanza. La paura di un diniego è forte. Se la sua domanda venisse rigettata dovrebbe aspettare un anno prima di poterne presentare un’altra: «Non voglio che le mie figlie nate qui debbano aspettare i 18 anni per avere la cittadinanza. Stiamo parlando di terza generazione. Sarebbe assurdo». L’inchiostro sui polpastrelli non è stata l’unica umiliazione che ha subito: «A 16 anni dovetti rinunciare alla gita a Praga perché con il mio passaporto temevo di non riuscire a rientrare. L’anno successivo i miei compagni andarono a Londra. Io non ci provai nemmeno. Le procedure per il visto sono complesse e costose». Anche se alcuni Paesi, Albania compresa, si sono progressivamente avvicinati all’Unione europea e certe procedure si sono semplificate, il problema principale rimane una legge scritta per gli immigrati, non per i loro figli: «Dieci anni di attesa per la richiesta sono troppi e fare la domanda ha sempre delle complicazioni».
Anna invece è laureata in lingue. È arrivata qui da bambina con la madre, che nel frattempo si è sposata con un italiano. «Mia madre ha chiesto la cittadinanza solo quest’anno e sta ancora aspettando la risposta. La domanda di cittadinanza per residenti non la posso fare perché il mio nucleo familiare non raggiunge il reddito minimo», spiega. Qualora la madre ricevesse la cittadinanza, Anna, in quanto maggiorenne, dovrebbe aspettare altri cinque anni prima di ottenerla. Sempre che nel frattempo rimangano sotto lo stesso tetto.

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