lunedì 21 novembre 2011
​Rischia l'isolamento e la salute chi si occupa di un malato. Necessaria una maggiore vicinanza delle strutture sanitarie.
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Accudire un familiare con patologia psichica è un percorso che comporta grandi fatiche. E spesso il caregiver, cioè la persona che si dedica al parente malato e che frequentemente è una donna, subisce conseguenze fisiche e psicologiche importanti, che possono comprometterne la qualità della vita. A questa situazione è possibile ovviare solo migliorando le cure dei pazienti psichiatrici, la loro adesione alla terapia e stringendo una sempre maggiore collaborazione tra i servizi psichiatrici e le famiglie, che dal canto loro possono trovare nelle reti di autoaiuto un supporto insostituibile. A confermare il peso che deriva dall’aiuto a un proprio caro affetto da psicosi giunge ora la ricerca sulla schizofrenia e l’impatto sulla qualità di vita dei familiari dei pazienti realizzata da Cegedim per conto di Onda, l’Osservatorio nazionale sulla salute della donna, intervistando 65 donne (madri, sorelle, mogli o conviventi fra i 30 e i 65 anni di età) in tre città: Milano, Roma e Napoli. Innanzi tutto l’88% delle intervistate, ha segnalato la ricercatrice Susanna Dainelli, ritiene che la cura di uno schizofrenico sia più onerosa di quella di un anziano o di un paziente con handicap. Lo confermano indirettamente altri dati: oltre a sconvolgere la vita del caregiver (impossibile invitare amici a casa, fare vita sociale, alto il rischio di solitudine), l’affiancamento al familiare paziente può diventare causa di malattia: il 63% ha lamentato problemi di salute, perlopiù ansia, disturbi del sonno, fatica, depressione, disturbi gastrici. Se lo psichiatra è l’aiuto che il 49% del campione sente più vicino (rispetto a centri territoriali, medico di base o reparto ospedaliero psichiatrico), il 53% ritiene che un maggior supporto da parte delle strutture sanitarie sarebbe di grande sollievo. Un dato significativo, ha sottolineato la presidente di Onda, Francesca Merzagora. Del resto il ruolo del caregiver è cruciale per il miglioramento del paziente: «Uno dei problemi maggiori – ha spiegato Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di Neuroscienze dell’Azienda ospedaliera Fatebenefratelli di Milano – è l’adesione alle terapie farmacologiche, che vanno seguite in modo continuativo: un recente studio ha mostrato che a 10 giorni dal ricovero una quota tra il 15 e il 25% dei pazienti non segue la terapia, dopo un anno si passa al 50% e dopo due anni si è giunti al 75%». Ma se la terapia farmacologica – ripetono gli psichiatri – è indispensabile, proprio il caregiver è «il più attento osservatore – ha proseguito Mencacci – dell’adesione alle cure: lo psichiatra tende a sovrastimarla, il paziente a sottostimarla». Del strategie psicoeducative che possono sostenere le famiglie ha parlato Massimo Clerici, direttore del dipartimento di Salute mentale dell’Azienda ospedaliera San Gerardo di Monza: «Studi sull’emotività espressa hanno dimostrato che la famiglia che riesce a tenere bassa questa emotività comprende meglio le terapie e riesce a essere un migliore sostegno al malato, che finisce con avere meno ricadute. Le strategie psicoeducative per le famiglie rappresentano uno strumento valido ormai compreso nella buona pratica clinica in molti Paesi».
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