mercoledì 6 dicembre 2023
Oggi la giornata tanto attesa. La testimonianza di chi ricorda il primo “Don Carlo” visto nel 1977 e chi ha passato la notte in fila per acquistare gli ultimi biglietti rimasti
Code davanti alla Scala

Code davanti alla Scala - Fotogramma

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Ha in mano il biglietto per la prima della Scala già dal 5 ottobre quando, in una sorta di staffetta con gli amici, si è fatto più di venti ore di coda. Notte compresa. «Non si può certo mancare a un Don Carlo che apre la stagione…» racconta Raffaello Della Penna. E sul cellulare mostra la foto di un altro Don Carlo che lo aveva visto in platea: quello del 7 dicembre 1977, l’anno del bicentenario. Con la bacchetta di Claudio Abbado. «C’era un cast magnifico. Ma anche quest’anno sarà da primato» sostiene. Settantasei anni, è un loggionista storico. In fibrillazione, come tutta Milano, per la prima del capolavoro di Giuseppe Verdi che alle 18 torna a inaugurare il cartellone scaligero per la nova volta.

Oggi con la versione in quattro atti rielaborata dal genio di Busseto per il Piermarini. Sul podio Riccardo Chailly. E sul palcoscenico Francesco Meli (Don Carlo), Anna Netrebko (Elisabetta di Valois), Michele Pertusi (Filippo II), Elina Garanca (Principessa d’Eboli) e Luca Salsi (Marchese di Posa). Cambio all’ultimo momento per il Grande Inquisitore: Jongmin Park prende il posto di Ain Anger, già indisposto durante le prove di insieme. Serata di musica e di mondanità. «Il fascino della prima rimane intatto. Ma è cambiato il pubblico» spiega Raffaello. Ha superato quota trenta Sant’Ambrogio alla Scala. «In passato era un evento molto meneghino. Adesso è di livello internazionale, in mondovisione, con gli occhi di molti Paesi che entrano fin nel teatro con la diretta tv. Però spesso si ha l’impressione che il palcoscenico non sia quello dietro il sipario ma la platea e i palchi dove tutti si mettono in mostra».

Una pausa. «Una volta sono stato anche ripreso dalle maschere perché avevo messo il piede sullo strascico di una lady e stavo per farla cadere – sorride –. Peccato che quest’anno non ci sia il presidente della Repubblica: Milano è molto legata al capo dello Stato». È anche contestatore Raffaello Della Penna. «Ma non a Sant’Ambrogio. Ho fischiato soltanto nel 2013: per la regia di Traviata dove addirittura si affettavano le zucchine». E con la mente torna alle inaugurazioni del passato: «Superbo l’Otello del 7 dicembre 1976 diretto da Carlos Kleiber. O i grandi spettacoli con Riccardo Muti che aveva optato per un repertorio ad ampio raggio: da Mozart a Wagner, da Gluck a Verdi».

Ieri è stata anche la giornata dell’ultima coda: quella dei centoquaranta biglietti delle gallerie. Anche stavolta c’è chi si è fatto la notte al gelo pur di conquistarsi un posto. In fila anche Michel Tabet, libanese d’origine. «Da quando mi sono trasferito in Italia, ed era il 1963 – racconta –, non ho perso un 7 dicembre». Ai biglietti via Internet ha rinunciato. «È un rito la coda della vigilia: un incontro fra amici, un’occasione di dialogo, uno scambio di opinioni sulla musica e sul teatro che dura ore e ore, mentre aspettiamo di entrare nella lista per assicurarci un tagliando». Poi la polemica “purista”. "In platea i melomani si contano su una mano". Ma anche lui si metterà all’ingresso principale della Scala per vedere la passerella di chi entra. "Serve la leggerezza. E prendersi un po’ in giro». Poi, al termine, la cena dei loggionisti. «Un altro appuntamento tradizionale. Pensate che tutto si esaurisca con gli applausi o con contestazioni quando cala il sipario? Macché. Andremo avanti fino a notte fonda a commentare. E poi nei giorni successivi». Come fosse il bar della lirica.




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