giovedì 27 febbraio 2014
La costa orientale della Sicilia al collasso, impossibile garantire un ricovero decoroso ai giovani stranieri.
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Un centinaio di brandine blu al­lineate sul campo da gioco, pa­sti freddi, notti trascorse all’u­midità sotto una tensostruttura nata per avvolgere il tifo appassionato per la squadra del cuore, non i pianti di chi è fuggito dalla propria terra. La frontiera dell’emergenza migrazioni si è sposta­ta dall’estremo sud alla costa orientale della Sicilia, meta ormai degli sbarchi assistiti organizzati dall’operazione Ma­re Nostrum. Un territorio che sta facen­do fronte come può alla marea umana che a ogni sbarco si riversa sulle ban­chine, ma le cui forze non reggeranno a lungo. I primi a farne le spese sono già gli stranieri più giovani che mettono pie­de sul suolo siciliano e trovano ad ac­coglierli locali assolutamente inadeguati e tempi burocratici lunghissimi.Nel porto di Augusta, in provincia di Si­racusa, dal mese di ottobre, sono ap­prodati oltre cinquemila migranti recu­perati sulle carrette del mare dalle navi della Marina Militare e condotti sulla terraferma. Il dieci per cento circa sono minori stranieri non accompagnati. Cinquecento ragazzi e ragazze tra i 16 e i 18 anni che hanno trovato come pri­mo tetto un palazzetto dello sport, il Pa­lajonio, tempio della squadra di calcio a 5 in A1, in attesa di essere destinati in comunità alloggio per minori. Un cen­tinaio di essi si trovano ancora in quel­la tensostruttura del Comune di Augu­sta, attualmente amministrato da tre commissari straordinari e sull’orlo del dissesto finanziario. Gli uffici comuna-­li, le forze dell’ordine, le parrocchie, i vo­lontari si stanno facendo in quattro per garantire una vita dignitosa a questi gio­vani africani che dovrebbero stare in questa struttura appena due giorni e si ritrovano lì da settimane. «Stiamo fa­cendo l’impossibile. Le parrocchie han­no fornito coperte, vestiti, scarpe. Ma la tensostruttura è usurata e non si può la­sciare il carico di questa emergenza sul­le spalle di questa città» è il grido d’aiu­to di don Angelo Saraceno, parroco di Santa Lucia e coordinatore della Caritas della città. Il sacerdote racconta di una decina di famiglie «che si sono aperte all’affido di alcuni stranieri. Anche nel- la nostra parrocchia abbiamo accolto due ragazzi del Senegal e uno della Gui­nea. In passato abbiamo avuto tre so­mali. Ma abbiamo numeri altissimi di arrivi. Non si fa in tempo a trovare loro una sistemazione che arrivano altre mi­gliaia di persone».Una volontaria della parrocchia San Giuseppe Innografo di Augusta, Cinzia, in una lettera ad Avvenire, racconta il suo shock nel visitare la struttura: «L’as­sistenza igienico-sanitaria non mi è sembrata per niente adeguata, direi an­zi che si può e si deve definirla disuma­na. La struttura sportiva viene contem­poraneamente usata da ragazzi augu­stani che si allenano per il campionato. E mentre vedo i volontari sacrificarsi e mettere a rischio la loro salute per aiu­tare questi giovani e farli sentire meno abbandonati, sento forte la solitudine a cui le istituzioni, il Comune, lo Stato, l’Europa o non so chi altri condanna non solo i profughi, ma anche chi ha nel cuore il forte desiderio di accoglierli. I­noltre, adesso, qui c’è anche il timore è che la popolazione, stanca dell’assenza totale delle istituzioni, possa reagire».Il problema reale è che i minori stranie­ri non accompagnati, dal loro arrivo a carico dei servizi sociali del Comune, dovrebbero rimanere al Palajonio ap­pena un paio di giorni, per poi essere trasferiti alla comunità di seconda ac­coglienza Papa Francesco a Priolo e suc­cessivamente nelle comunità alloggio sul territorio siciliano e nazionale. Ma i tempi sono lunghissimi e «le comunità sul territorio sono già piene. Inoltre, poi- ché questi ragazzi sarebbero a carico dei Comuni in cui risiedono le comunità al­loggio, i sindaci, in difficoltà coi bilanci, si rifiutano di accoglierli» racconta il commissario del Comune di Augusta, il prefetto Maria Carmela Librizzi. «Sia­mo pienamente consapevoli che il Pa­lajonio non è adeguato, ma l’alternati­va sarebbe stata lasciare questi ragazzi per strada – aggiunge il commissario, che loda l’impegno della popolazione di Augusta –. Abbiamo trasferito i gio­vani affetti da malattie infettive in due locali del Comune. Stiamo cercando strutture alternative, ma l’amministra­zione è in dissesto». Così l’appello a Ro­ma. «Questa è una emergenza che non si fermerà, le navi della Marina conti­nueranno a portare qui migliaia di pro­fughi e centinaia di minori, che reste­ranno a carico del Comune che ha scar­se risorse per entrare in contatto con al­tri Comuni per pianificare l’accoglien­za di questi ragazzi. Così – propone il commissario Librizzi –, abbiamo scrit­to al ministero del Lavoro e delle Politi­che sociali, informando anche il mini­stero dell’Interno, perché si crei una ca­bina di regia centrale, che possa regola­mentare lo smistamento dei minori in comunità del territorio nazionale. Sap­piamo che questa proposta è al vaglio del ministero».
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