venerdì 21 gennaio 2011
Clima politico e giudiziario rovente. Il capo dello Stato chiede una riflessione sulla crisi del Paese. Il segretario di Stato richiama a moralità, giustizia e legalità.
- «Responsabilità civile per i pm in mala fede»
- Chiarezza necessaria di Marco Tarquinio
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«Grande responsabilità di fronte alle famiglie, e alle nuove generazioni» e di «fronte alla domanda di esemplarità» morale che viene dal Paese. È questa la riflessione che il segretario di Stato vaticano, Tarcisio Bertone, ha consegnato ieri ai giornalisti in merito alle vicende italiane e, in particolare, alle indagini giudiziarie che investono il presidente del Consiglio. «La Santa Sede, che ha i suoi canali, le sue modalità di intervento e non fa dichiarazioni pubbliche – ha detto il cardinale Bertone a margine della inaugurazione di una struttura di accoglienza dell’Ospedale Bambin Gesù –, spinge e invita tutti, soprattutto coloro che hanno una responsabilità pubblica di ogni genere in qualsiasi settore amministrativo politico e giudiziario, ad avere e ad assumere l’impegno di una più robusta moralità, di un senso di giustizia e di legalità».Il segretario di Stato vaticano ha espresso inoltre la convinzione che «moralità, giustizia e legalità siano i cardini di una società che vuole crescere e che vuole dare delle risposte positive a tutti i problemi del nostro tempo». Rispondendo a chi gli chiedeva se condividesse il «turbamento» manifestato dal presidente della Repubblica per quanto pubblicato dai media riguardo alle accuse mosse al premier, Bertone ha fatto riferimento al fatto che L’Osservatore romano ha pubblicato un unico testo sulla vicenda: la nota del Quirinale di martedì scorso. «La Santa Sede – ha ribadito Bertone – segue con attenzione e in particolare con preoccupazione queste vicende italiane, alimentando la consapevolezza di una grande responsabilità soprattutto di fronte alle famiglie, alle nuove generazioni».L’intervento del segretario di Stato vaticano si inserisce nella linea tracciata con continuità dalla Presidenza della Conferenza episcopale italiana. Nella prolusione al consiglio permanente del 27 settembre scorso, il cardinale Angelo Bagnasco espresse la sua «angustia» per l’Italia, enunciando il principio (ripreso dall’editoriale di Avvenire di martedì scorso) secondo il quale «in qualunque campo, quando si ricoprono incarichi di visibilità, il contegno è indivisibile dal ruolo». Sinificativi anche i passaggi contenuti nella prolusione del settembre di un anno prima. «Occorre che chiunque accetta di assumere un mandato politico – sottolineò il presidente della Cei – sia consapevole della misura e della sobrietà, della disciplina e dell’onore che esso comporta, come anche la nostra Costituzione ricorda all’articolo 54».Nel medesimo intervento Bagnasco sottolineò, riprendendo una frase di Benedetto XVI, «l’importanza dei valori etici e morali nella politica» ad ogni livello. Il monito si traduceva in un «invito» rivolto a «tutti – singoli, gruppi, istituzioni – a guardare avanti, a far tesoro dell’esperienza», anche «con una capacità di autocritica».In quella prolusione il porporato ribadiva poi che «la comunità cristiana mai potrà esimersi dal dire – sulla base di un costume di libertà che sarebbe ben strano fosse proprio a lei inibito – ciò che davanti a Dio ritiene sia giusto dire». Infatti, argomentava Bagnasco, «anche quando annuncia una verità scomoda, la Chiesa resta con chiunque amica. Essa infatti non ha avversari, ma davanti a sé ha solo persone a cui parla in verità, dunque mai con parole che possano essere scambiate o accomunate a quelle legittimamente espresse in nome della politica o del costume».
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