L'ingresso di un pronto soccorso - Dal Web
In un contesto di risorse scarse, «per fare fronte a esigenze di contenimento della spesa pubblica dettate anche da vincoli eurounitari, devono essere prioritariamente ridotte le altre spese indistinte» prima di agire con tagli sulla sanità. Con un inedito intervento, la Corte costituzionale entra a pieno titolo sui meccanismi che regolano il bilancio dello Stato, ribadendo l’intento prioritario di «garantire il fondamentale diritto alla salute di cui all’art. 32 della Costituzione, che chiama in causa imprescindibili esigenze di tutela anche delle fasce più deboli della popolazione, non in grado di accedere alla spesa sostenuta direttamente dal cittadino, cosiddetta out of pocket (di tasca propria, ndr)».
È il succo della sentenza n. 195 resa nota ieri, emanata - su ricorso della Regione Campania - per dichiarare l’illegittimità di una norma della legge di Bilancio per il 2024, a seguito del mancato versamento dei contributi dovuti allo Stato da parte delle Regioni nell’ambito della nuova governance economica europea. Accogliendo in parte il ricorso dell’ente guidato dal dem Vincenzo De Luca la sentenza, scritta dal giudice Luca Antonini, puntualizza che, nemmeno nel caso in cui la Regione non abbia versato la propria quota, lo Stato può rispondere tagliando risorse destinate alle spese “costituzionalmente necessarie”, tra cui quella sanitaria, ma deve tagliare prima altre spese meno “urgenti”. Il diritto alla salute, infatti, «coinvolgendo primarie esigenze della persona umana», non può essere sacrificato «fintanto che esistono risorse che il decisore politico ha la disponibilità di utilizzare per altri impieghi che non rivestono la medesima priorità». Inoltre la sentenza sollecita il legislatore, al fine di «scongiurare l’adozione di “tagli al buio”», ad «acquisire adeguati elementi istruttori sulla sostenibilità dell’importo del contributo da parte degli enti ai quali viene richiesto e a non trascurare, per garantire maggiore effettività al principio di leale collaborazione, il coinvolgimento della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica». Infine, citando una propria sentenza precedente del 2016, la Consulta ribadisce che è «la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione». É stata infine dichiarata l'illegittimità della legge n. 213 del 2023, laddove non prevede che il decreto del ministro della Salute, sulle somme del Fondo per i test di diagnosi sulle malattie rare sia adottato d'intesa con la Conferenza permanente tra Stato e Regioni.
La decisione dei giudici della Consulta è destinata così a riaccendere il mai sopito dibattito sui tagli al servizio sanitario, già al centro di una disputa dai toni accesi anche al momento del varo dell’ultima manovra, con il governo che si difendeva sostenendo il primato storico di questa voce di spesa in valori assoluti (136,48 miliardi per il 2025), mentre le opposizioni imputano al centrodestra di averla ridotta in rapporto al Prodotto interno lordo, portandola al 6.05% da oltre il 7%. Per la senatrice Pd Beatrice Lorenzin, ex ministra della Sanità, la Corte costituzionale «richiama tutti a una riflessione: la sanità non è solo una voce di bilancio, ma un pilastro della coesione sociale. Tagliarla significa mettere a rischio la sostenibilità futura del sistema Paese». Il responsabile Welfare di Azione, Alessio D’Amato, lancia una proposta: «Sarebbe importante discutere della necessità di un vincolo costituzionale di finanziamento minimo per garantire i livelli essenziali di assistenza». Si aggancia alla stretta attualità, per Italia Viva, la senatrice Daniela Sbrollini, per la quale siamo davanti «non solo a una bocciatura della manovra dello scorso anno, ma anche a un monito al governo per quella in discussione alla Camera». E anche per M5s la Corte costituzionale ha inflitto al governo Meloni «una decisa bocciatura che suona come un vero e proprio sonoro schiaffone».