
ANSA
«La Spagna», e non l'Italia, «era tenuta a tutelare i diritti delle persone a bordo e, dunque, in linea di principio, anche a fornire l’approdo in un place of safety», ossia in un porto porto ritenuto sicuro. È uno dei passaggi chiave delle motivazioni della sentenza con cui, a dicembre, i giudici del tribunale di Palermo hanno assolto «perché il fatto non sussiste» l’ex ministro dell'Interno Matteo Salvini, attuale vicepremier, dalle accuse nel processo di primo grado sul caso Open Arms. Nelle 272 pagine appena depositate, si esclude in modo netto, «tenuto conto della vaghezza del precetto e della scarsa cogenza della disposizione, che la concessione del Pos costituisse per l’Italia e, di riflesso, per il ministro dell’Interno Salvini, un obbligo giuridico». Una valutazione cha contribuito in modo decisivo a far cadere tanto l’accusa di rifiuto d'atti d'ufficio che quella più pesante di sequestro di persona, legata all’ipotesi di aver negato illegittimamente lo sbarco in Italia ai profughi nell’agosto del 2019.
La procura di Palermo valuterà se presentare richiesta di appello
L’inchiesta era partita nel 2019, dopo il divieto di sbarco deciso ad agosto per 19 giorni dal Viminale nei confronti di 147 migranti salvati in mare dalla ong spagnola Open Arms. Il processo a carico del ministro, iniziato a Palermo nel 2021, si è protratto per tre anni, fino al 20 dicembre scorso, quando è stata pronunciata la sentenza di assoluzione. Ora, dopo aver preso visione delle motivazioni, i pubblici ministeri palermitani (che avevano chiesto la condanna del ministro a 6 anni di detenzione) hanno programmato una riunione col procuratore Maurizio de Lucia per valutare se presentare una richiesta di appello, che alcune fonti giudiziarie considerano probabile.
I giudici: non ci fu intento di respingere verso la Libia
In base alla ricostruzione del collegio giudicante, lo Stato italiano «col decreto dell’1° agosto 2019» si era limitato a «interdire l’accesso ad Open Arms» (che in quel momento stava in acque internazionali, a 50 miglia dalle coste italiane) nelle acque territoriali, «senza con ciò respingerla verso Paesi nei quali i migranti avrebbero corso il rischio di subire i pregiudizi alla propria vita sopra specificati» ossia verso la Libia, «confidando sul fatto che i paesi “direttamente responsabili” (Spagna e Malta), ove i migranti non avrebbero corso i rischi sopra specificati, avrebbero potuto accogliere i migranti». Il convincimento che nella vicenda nessun obbligo di fornire il Pos gravasse sullo Stato italiano, né dunque sull'imputato, annotano i giudici preliminarmente, «esime evidentemente il collegio dall'affrontare analiticamente diverse tematiche prospettate ed animatamente dibattute dalle parti quali, ad esempio, quelle relative alla circostanza che la nave Open Arms avesse potuto fungere da Pos, ovvero al fatto che il primo intervento non avesse in realtà riguardato un'imbarcazione in distress, o ancora al fatto che i tempi trascorsi in attesa del Pos potevano legittimamente spiegarsi con l'esigenza di provvedere prima alla distribuzione dei migranti fra gli Stati Europei». Per il tribunale l'obbligo di tutelare i profughi (fatti sbarcare al termine di un braccio di ferro solo dopo l'intervento della procura di Agrigento) lo aveva la Spagna, perché il suo centro di coordinamento e soccorso marittimo aveva operato, sin da subito, un sia pur minimo coordinamento da primo contatto e perché Malta, nel «declinare la propria responsabilità per i primi due eventi di salvataggio aveva chiaramente indicato la Spagna (Stato di bandiera) quale unica autorità che avrebbe dovuto assistere il natante».
Salvini e la Lega: difendere i confini non è reato
La pubblicazione delle motivazioni viene salutata con soddisfazione dal vicepremier: «I giudici hanno confermato che difendere l'Italia non è reato - afferma -, rilevando l'ostinazione e l'arroganza di Open Arms che ha fatto di tutto per venire in Italia, scartando altre alternative». Tuttavia, prosegue il leader del Carroccio, «la soddisfazione non cancella l'amarezza per un processo lungo, costato migliaia di euro ai contribuenti italiani, è il risultato dell’odio politico della sinistra contro di me». Più asciutto il commento della senatrice leghista Giulia Bongiorno, che è stata suo avvocato nel processo: «La sentenza, con motivazione tecnicamente ineccepibile - considera - riconosce la assoluta correttezza della condotta del ministro», perché «non esisteva alcun obbligo di far sbarcare Open Arms in Italia».
«Nessun collegamento» fra Open Arms e i trafficanti
Dal canto suo, l’ong spagnola prende tempo: «I nostri legali stanno leggendo le 270 pagine di motivazioni. Attendiamo le valutazioni della procura», commenta Oscar Camps, fondatore di Open Arms. Nella sentenza, infine, i giudici riconoscono con chiarezza, sfatando indirettamente una certa propaganda anti-ong, come nei tre salvataggi fatti dalla nave spagnola nell’agosto 2019 non sia emerso alcun «collegamento tra Pro Activa Open Arms e le organizzazioni dedite al favoreggiamento del flusso migratorio clandestino via mare». E ribadiscono come l’ong iberica, «salvando donne, uomini e bambini in imminente pericolo di vita» abbia precisamente «adempiuto agli obblighi» delle convenzioni internazionali.