sabato 14 ottobre 2017
Studenti, insegnanti e politici insieme: «Basta con i rinvii, approvate a legge»
Sì alla nuova cittadinanza, la spinta della piazza
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Piazza Montecitorio è di nuovo piena. Stavolta però non rimbomba di cori arrabbiati e urla contro il 'colpo di Stato' ordito col Rosatellum. Cori, bandiere e filastrocche. E cartelli e bimbi, di ogni colore. « C’hai ragione, nun so’ italiano, so’ nato a Roma e so’ romano». Chi ha paura di Sonny, Michau, Afef? Eppure, fuori da questa piazza allegra e rumorosa, c’è chi dipinge a tinte cupe un’Italia che decida finalmente di riconoscere a questi ragazzini quello che di fatto già sono: italiani.

Benvenuti al 'Cittadinanza day', dove i nuovi italiani cantano in coro l’Inno di Mameli e quello di Cutugno: «Lasciatemi cantare, perché ne sono fiero, io sono un italiano, un italiano vero». A promuovere la manifestazione a sostegno del disegno di legge sullo ius soli temperato e lo ius culturae è la rete #ItalianiSenzaCittadinanza assieme al cartello della campagna l’Italia sono anch’io. Molte le adesioni di associazioni, reti studentesche, Unicef, Save the children. Ci sono i sindacati, i politici - dall’anziano Macaluso a Fassina, Marazziti, Cuperlo, la Turco – e poi le famiglie e tanti insegnanti. Maestri e professori che tra i primi hanno lanciato la mobilitazione.

Come Franco Lorenzoni, maestro elementare a Giove, in Umbria. «Perché i ragazzi stranieri ce li abbiamo davanti. Da anni gli insegnanti più sensibili si confrontano su come creare una comunità tra diversi. Chiunque crede che l’educazione sia costruire cultura, e non solo trasmettere conoscenze, sa che deve creare una comunità. La disomogeneità è una grande opportunità culturale, ma serve un gran lavoro. Come insegnante non posso tollerare che nella mia classe ci siano cittadini e non, e per coerenza sono costretto a schierarmi. La legge mi chiede di educare alla cittadinanza bambini che non lo saranno. C’è un conflitto».

La presidente della Camera incontra nel palazzo una delegazione dei manifestanti: «Pensare che non si debba approvare questo testo – dice Laura Boldrini – perché si va in campagna elettorale è un grande errore politico, un grande errore di subalternità politica. Io mi auguro che su questo si riesca a tenere fede alla promessa fatta a tanti ragazzi e ragazze, a tante associazioni laiche e cattoliche che si sono impegnate».

C’è anche Emma Bonino che saluta gli attivisti di 'Ero straniero', al banchetto per la raccolta di firme per superare la Bossi-Fini con una legge di iniziativa popolare. «La mia esperienza mi fa dire che le battaglie per conquistare i diritti, e relativi doveri, sono lunghe – dice l’ex ministro – e bisogna tenere, tenere, sempre senza rabbia, con la nonviolenza e possibilmente col sorriso. So che verrà il tempo dell’approvazione, che per me è già ora. Dicono che questa legge cambia il Paese, senza accorgersi che è già cambiato». Filippo Miraglia dell’Arci grida nel megafono :«Se non passa al Senato, il Pd lascia a Salvini e alle destre xenofobe un argomento per la campagna elettorale». Poi è il turno di Luigi Manconi, senatore dem e presidente della Commissione per i diritti umani: «Nel ’68 Elsa Morante scrisse Il mondo salvato dai ragazzini. Oggi la politica può essere salvata dai bambini italiani e dai bambini che vogliono diventarlo. Ma la politica li offende». Manconi racconta della telefonata di sostegno ricevuta da Roberto Benigni. La capogruppo di Sel al Senato, Loredana De Petris, fa i conti: «Siamo arrivati a 157 - 158 voti. Il Senato approvi la legge prima della legge di stabilità e se ci fosse la questione di fiducia le opposizioni sarebbero pronta a votarla». Per padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, «occorre recuperare sul piano dei diritti un ambito delle migrazioni molto bistrattato. E aprire la strada a una società multietnica riconoscendo i diritti di tutti». «Che senso ha un altro rinvio?», chiede il segretario della Cisl Annamaria Furlan che spera in «un sussulto di responsabilità di tutte le forze politiche». È tempo per una legge che ponga fine a casi come quello di Kenya, 31 anni, fiera del nome che ricorda le sue origini. «Altro che ius culturae, io ho finito pure l’università, ma a 31 anni la burocrazia ancora non mi fa essere italiana». O di Michau Borucky, di cui Edyta, la mamma polacca, racconta lo sconforto di quando, argento ai regionali di Judo, «s’è sentito di dire: inutile che continui, tanto in nazionale non ti chiamano». © RIPRODUZIONE RISERVATA Sopra e sotto, due momenti della manifestazione di Roma per richiedere la riforma della cittadinanza

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