mercoledì 16 febbraio 2011
Il gip di Milano dispone il rito immediato per il caso Ruby. Il premier: «Vogliono impedirmi di governare ma non l'avranno vinta». Napolitano: tanto frastuono e motivi di ansietà. La maggioranza pensa di sollevare un conflitto di attribuzione tra Milano e Tribunale dei ministri. Alfano: in gioco la sovranità delle Camere.
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«I fatti storici a carico del premier so­no dimostrati» e le accuse per con­cussione e prostituzione minorile sono «fondate». Trenta pagine bastano al gip Cristina Di Censo per avviare un processo che, secondo le previsioni, potrebbe chiu­dersi entro trecento giorni. A partire dal 6 a­prile, quando in un aula di giustizia suonerà la campanella del corpo a corpo finale. «Siamo a Milano e quin­di ci aspettiamo di tutto e di più», reagisce l’avvo­cato Niccolò Ghedini preannunciando fin dai toni il tenore della batta­glia. Contro Silvio Berlu­sconi non ci saranno so­lo i pm Ilda Boccassini, Pietro Forno e Antonio Sangermano. Il gip ha in­dividuato quali parti lese il Ministero dell’Interno, tre funzionari della que­stura di Milano e Karima 'Ruby' el Marou­gh, la marocchina secondo l’accusa 'vitti­ma', perché minorenne all’epoca dei fatti, degli «atti sessuali» compiuti dal Cavaliere dietro laute ricompense. E la sorte ha voluto che per una storia di donne la corte fosse in­teramente composte da 'toghe rosa'. Gli elementi raccolti non significano – chia­risce però il gip Di Censo nel suo decreto di rinvio a giudizio – che sia provata la respon­sabilità del capo del governo, ma che ci sono elementi di prova meritevoli di essere valu­tati da una corte per pronunciare un verdet­to di colpevolezza o di assoluzione. In so­stanza, vi è l’«evidenza della prova», abba­stanza perché una giuria possa valutare in processo ogni posizione. Il gip, inoltre, con la decisione di concedere il processo immediato ha implicitamente ri­tenuto che la competenza sia del Tribunale di Milano e non di quel­lo di Monza (nella cui giurisdizione ricade Ar­core) né quello dei Mini­stri (poiché i reati ascrit­ti al premier sarebbero stati commessi da comu­ne cittadino e non da ca­po dell’esecutivo). La difesa del capo del go­verno ha due settimane di tempo per presentare un’istanza di rito alterna­tivo. Le strade non sono molte: patteggiamento, con sostanziale am­missione di colpa e sconto della pena); op­pure rito abbreviato, che comporta la ridu­zione di un terzo della condanna, si svolge a porte chiuse ma esclusivamente sulla base delle prove acquisite fino ad ora, prove che però depongono a sfavore di Silvio Berlusco­ni, tanto che i legali del Cavaliere escludono quest’ultima ipotesi. La difesa di Berlusconi potrà inoltre presentare le sue istanze sulla competenza funzionale e territoriale davan­ti ai giudici del dibattimento. C’è poi un’altra possibilità, rinviare attraverso la Camera (ma nell’ufficio di presidenza Berlusconi è in mi­noranza) l’intera questione alla Consulta.In questo caso, però, il processo andrebbe co­munque avanti fino alla sentenza. Dal ministero dell’Interno nessuna voce si le­va sull’eventuale costituzione di parte civile del Viminale nel processo che vede il premier Silvio Berlusconi. «Avevamo ragione noi, me­no male». Davanti alla macchinetta del caffè gli agenti delle volanti battono il cinque, qua­si brindano, pensando al sospiro di sollievo dei tre funzionari (anch’essi parti lese) Pietro Ostuni, Giorgia Iafrate e Ivo Morelli, finiti sul­la graticola per aver fatto seguito alle solleci­tazioni del premier che, secondo l’accusa, per coprire il giro di prostituzione chiese di rila­sciare Ruby. Ora Silvio Berlusconi sembra ancora più so­lo. Messo all’angolo perfino dalla fidata Nicole Minetti. «Si difenda nel processo, non dal pro­cesso », gli ha consigliato l’avvocato del con­sigliere regionale Pdl, Daria Pesce. Parole che, pronunciate a 'l’Infedele', salotto simbolo della distanza che oggi c’è tra Silvio e Nicole, sanno di 'messaggio'. L’avvocato Pesce è sta­ta ospite di Gad Lerner, trasmissione che il Ca­valiere definì «postribolo televisivo» da cui stare alla larga. Come dire: se il premier per­severasse nell’assentarsi ai processi, dove po­trebbe scagionare Minetti, lei potrebbe sen­tirsi costretta a raccontare per intero scomo­de verità.IL COLLEGIO DI DONNE CHE GIUDICHERA' IL CAVALIEREI benevoli le chiameranno "toghe rosa", gli altri, più prevedibilmente, "toghe rosse". Carmen D’Elia, Orsola De Cristofaro e Giulia Turri dovranno stabilire se il premier è colpevole di concussione e prostituzione minorile. A presiedere il collegio sarà Giulia Turri, la più "anziana" professionalmente parlando, già gip del processo "Vallettopoli" che ha visto Fabrizio Corona condannato a tre anni e otto mesi per estorsione e tentata estorsione, e poi giudice dell’inchiesta che ha portato alla chiusura di alcuni locali vip di Milano per il consumo di droga. Tutti in passato ha già incontrato l’ambiente berlusconiano. Fu lei a rinviare a giudizio il manager Massimo Maria Berruti nell’ambito di uno stralcio Mediaset, poi assolto. Carmen D’Elia è in magistratura dal 1991 ed è stata uno dei giudici a latere di Luisa Ponti nel processo Sme che andò a sentenza, con una condanna a cinque anni per Cesare Previti. D’Elia è stata anche giudice a latere (insieme alla collega Orsola De Cristofaro) nel processo contro Pier Paolo Brega Massone, l’ex primario della clinica Santa Rita condannato in primo grado a 15 anni e mezzo di reclusione. Infine Orsola De Cristofaro. Nella sua carriera ha ricoperto sia il ruolo di pubblico ministero sia quello di gip.
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