venerdì 16 settembre 2022
É il terzo furto in sette mesi ai danni della realtà che dal '96 gestisce i beni confiscati alle mafie. E Libera denuncia la mancanza di trasparenza dei Comuni
Rubato furgone alla cooperativa "Pietra di scarto" di Cerignola
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Nuovo grave furto alla cooperativa Pietra di scarto di Cerignola, nata nel 1996 col Progetto Policoro della Cei. Il terzo in appena 7 mesi per questa bella realtà che gestisce beni confiscati alla mafia foggiana, offrendo opportunità di lavoro a detenuti, immigrati, donne vittime di sfruttamento e violenza. Ieri all’alba, all’inizio dell’attività lavorativa, soci e lavoratori hanno scoperto la scomparsa del furgone. Proprio nel momento di raccolta e trasformazione del pomodoro, nel nuovo laboratorio intitolato a Francesco Marcone, il direttore dell’Ufficio del registro ucciso a Foggia nel 1995.

Già a febbraio e ad aprile la cooperativa aveva subito furti e danneggiamenti. Ora quello più grave. «Non stiamo qui a sputare odio verso nessuno, siamo sempre positivi e costruttivi – commenta il presidente Pietro Fragasso - ma in questa fase delicata il nostro mezzo era uno strumento necessario affinché tutto funzionasse. Se qualcuno può darci una mano ci farebbe un grande favore. Siamo certi che assieme troveremo una soluzione. E via, al lavoro, si va avanti!». Per aiutarli basta collegarsi al link https://www.pietradiscarto.it/sostieni-pietra-di-scarto/.

Ma non è solo la criminalità ad ostacolare la rinascita dei beni tolti alle mafie. Peggiora, infatti, la trasparenza dei comuni su questi beni. Lo denuncia Libera presentando “RimanDATI” il secondo Report promosso in collaborazione con il Gruppo Abele e l’Università di Torino. L’occasione è il 40mo anniversario della legge Rognoni-La Torre, del 13 settembre 1982, che introduceva la confisca dei beni delle mafie. Beni che in gran parte sono assegnati ai comuni per poi essere utilizzati a fini sociali, come prevede la legge 109 del 1996. Ma per realizzare ciò serve in primo luogo la trasparenza. Invece su 1.073 comuni monitorati dal Report ben 681, il 64%, non pubblicano elenco e informazioni.

Una mancanza che spesso impedisce che i beni siano poi realmente e efficacemente utilizzati. Una situazione in peggioramento, infatti nel 2021 i comuni inadempienti erano il 62%. A livello regionale tra le più “virtuose” Campania, Emilia Romagna, Marche, Umbria e Lazio. Tra le meno trasparenti Calabria, Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Sicilia e Toscana. Rimandate senza appello Basilicata, Molise, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta, dove i comuni non pubblicano nessuna informazione.

Il primato negativo in termini assoluti spetta al Sud comprese le isole con ben 400 comuni che non pubblicano l’elenco, segue il Nord con 215 e il Centro con 66. Ricordiamo che sono poco più di 19mila i beni immobili destinati, in gran parte ai comuni, mentre più di 22mila sono quelli ancora in gestione da parte dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati. Dunque, ricorda Libera, «sono proprio i comuni ad avere la più diffusa responsabilità di promuovere il riutilizzo dei patrimoni».

Eppure, proprio a livello comunale le potenzialità della “filiera della confisca” sono tuttora dense di ostacoli, criticità ed esitazioni. Il Report fotografa una situazione in evoluzione, con un significativo aumento degli Enti che pubblicano in Campania (dal 34% del 2021 al 56,5% del 2022) e Puglia (dal 43% al 48,5%), una diminuzione invece in Calabria (dal 37% al 18,8%) e Sicilia (dal 42% al 29,9%).

E il monitoraggio fa emergere anche la carenza di informazioni fondamentali sulla vita del bene: il 15% dei comuni non specifica i dati catastali, l’11% la tipologia, il 13% l’ubicazione e ben il 40% la consistenza (metratura o ettari). «Garantire che la filiera del dato sui beni confiscati sia trasparente - dichiara Tatiana Giannone, referente nazionale Beni confiscati di Libera - vuol dire dare spazio al protagonismo della comunità e della società civile organizzata, che solo conoscendo può progettare e programmare nuovi spazi comuni».

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