venerdì 11 aprile 2014
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Due pillole. Una, il miferpistone, blocca la crescita del concepito. L'altra, la prostaglandina, somministrata due giorni dopo, provoca l'espulsione del "materiale abortivo" entro poche ore. O entro qualche giorno, due, tre, in alcuni casi anche sette, in altri addirittura quindici. Ma per evitare ritardi, solitamente si ricorre a una seconda dose di prostaglandina: riduce la percentuale di «espulsioni tardive» e «aumenta l'efficacia del farmaco». Funziona così, la Ru486. «L'espulsione del materiale abortivo avviene mediante sanguinamento e contrazioni», spiegano le indicazioni. Una specie di forte ciclo mestruale, con l'aggiunta di forti crampi addominali. Rispetto al metodo tradizionale, l'aborto con la Ru486 però «non richiede né anestesia né intervento chirurgico». Anche se poi, spesso, si deve ricorrere al raschiamento Con il nome Ru486 comunemente definita "pillola abortiva" o "aborto chimico" si designa la molecola costituita da mifepristone e prostaglandine. Il mifepristone si lega a livello dei recettori per il progesterone, "l'ormone della gravidanza". La mancata azione del progesterone causa il distacco dell'embrione dalla parete uterina e cioé un aborto. In Italia il parere favorevole alla commercializzazione del prodotto da parte dell'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) fu emesso il 26 febbraio del 2008, sulla base della casistica di 10 decessi riportata allora dalla ditta produttrice Exelgyn e di 16 indicati, invece, da indagini giornalistiche. Ma la stessa ditta interpellata dal ministero del Welfare nel febbraio del 2009 ne calcolò 29 (17 per aborto farmacologico e 12 per altro uso). Nel rispetto di quanto previsto dalla Legge 194/78 che regola l'interruzione di gravidanza, la pillola va somministrata in regime di ricovero ospedaliero.
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