venerdì 7 ottobre 2022
Gli amministratori delle case di riposo in grave difficoltà. Massi (Uneba): ormai c’è un problema di sostenibilità del Servizio sanitario nazionale e che molte cose vanno cambiate
Le residenze per anziani stanno attraversando un momento difficile per l'aumento delle bollette

Le residenze per anziani stanno attraversando un momento difficile per l'aumento delle bollette - Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

«Non possiamo lasciarli al freddo». Gli amministratori delle case di riposo lo ripetono come una litania, esaminando i conti: secondo il rapporto sui costi delle Rsa, le Residenze sanitarie assistenziali, presentato dall’Uneba riunita a Pesaro, nel 2021 il risultato gestionale delle Rsa si è attestato a una perdita di 0,31 euro per ogni giorno di presenza di un ospite.

Nei primi sei mesi del 2022 si è arrivati a 10,90 euro. Sembreranno spiccioli, ma se consideriamo i margini risicati delle strutture che assistono anziani e disabili non profit, dove il costo del personale assorbe i due terzi del fatturato, il 70 per cento degli enti dovrà ricorrere alla cassa integrazione o appesantire le rette. L’alternativa? Chiudere. Parliamo di più di mille strutture che assistono centomila persone fragili, per fermarci all’arcipelago Uneba.

Franco Massi, presidente di Uneba, l’associazione più grande tra quelle che rappresentano Rsa, case di riposo, comunità e centri di servizi per non autosufficienti, dice che il settore non si dà per vinto. «Molti cambiano per sopravvivere, noi per migliorare». Osserva don Massimo Angelelli, direttore dell’ufficio per la pastorale della salute della Cei, che «c’è una resistenza umana al cambiamento. Esiste una tendenza alla conservazione delle strutture».

«Dobbiamo dire chiaramente – continua Massi – che ormai c’è un problema di sostenibilità del Servizio sanitario nazionale e che molte cose vanno cambiate». E sottolinea che «nel Pnrr non abbiamo trovato delle risposte adeguate. Siamo proprio insoddisfatti. Il Pnrr ha una connotazione totalmente pubblica, non ci siamo».

A parlare è chi rappresenta il 50% dei posti letto nelle Rsa, a fronte del 15% delle strutture pubbliche, e che per questo si aspetta un cambio di passo dalla legge delega per il riordino del sistema della non autosufficienza. Aspettative condivise dalla Cei. «Non siamo condannati allo stallo; anzi, esiste una metodologia per innovare, attraverso una visione etica, purché per una innovazione reale ed inclusiva: anche nel nostro ambiente ci sono resistenze enormi che vanno superate attraverso la motivazione. Il cambiamento parte dalle persone» ha detto Angelelli. E anche lui ha bocciato il Pnrr che non investe sull’assistenza di anziani e disabili. «Buono per chi vende tecnologie, buono per i palazzinari ma ci vuole un nuovo equilibrio, perché la medicina e l’attività socioassistenziale sono persone che curano persone, il resto è strumentale».

A Pesaro, Virginio Marchesi (Uneba Milano) ha presentato l’indagine sui costi dei servizi residenziali per le persone fragili, che fotografa la drammatica ricaduta del caro-energia, ma non solo. Questa volta non si parla solo di posti di lavoro, ma di «luoghi di vita e di cura» delle persone fragili e sostegno per le loro famiglie. Una ragione in più per non complicare la vita alle Rsa che invece si sono viste negare dal governo Draghi il credito d’imposta accordato invece all’industria.

«I dati ci dicono che su 270mila posti letto in italia oggi la perdita economica per giornata di ricovero è quindi di quasi 3 milioni di euro al giorno. In un anno siamo quindi sopra il miliardo di euro. Di questo la massima parte è dovuta ad aumenti del costo energia. Il nuovo Parlamento deve aumentare la disponibilità di aiuto prevista nel decreto Aiuti ter da 50 milioni : almeno a dieci volte tanto, lasciando comunque oltre mezzo miliardo di oneri a enti e famiglie» commenta Luca Degani, presidente di Uneba Lombardia.

Secondo il rapporto presentato da Marchesi, prima il Covid e poi la guerra hanno fatto lievitare il costo del personale (infermieri e Oss praticamente introvabili) e quello dell’energia, ma anche, e a cascata, quello delle forniture. Oggi, i costi "sanitari", che comprendono i costi per il personale addetto agli ospiti ed alcuni costi relativi a farmaci e altri prodotti sanitari (che non in tutte le regioni sono a carico del gestore della Rsa) ammontano a 6,7 miliardi di euro e sono aumentati del 2,8% nel solo 2021. I costi "alberghieri" (ristorazione; lavanderia; pulizie; trasporto degli ospiti ecc.) ammontano a 1,1 miliardi e sono lievitati del 6,11%.

Infine, i costi generali (3,1 miliardi), che contemplano tra l’altro personale, utenze e forniture: esplosi quest’anno (+29,57%) in seguito all’incremento medio del costo delle utenze (+62,0%). In totale, i costi delle Rsa (11,6 miliardi nel complesso del settore) sono cresciuti in sei mesi del 10,55%, a fronte di entrate che sono la somma delle tariffe riconosciute dalle Regioni in termini di rimborsi, le rette corrisposte dalle famiglie o dai Comuni di residenza dell’utente e il 5 per mille.

La situazione suggerirebbe di aggiornare le tariffe in base all’inflazione: lo prevede la legge, ma non viene applicata. Così, il caro-bollette va a scaricarsi sull’utenza, con l’aggravante che i vincoli posti dalla normativa Covid riducono il numero di posti letto occupati. Infatti, le entrate in questo triennio non sono aumentate, mentre esplodevano le fatture dei fornitori.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: