martedì 5 ottobre 2010
Per le opposizioni, la nomina dell’esponente legato a Mediaset rappresenta un trionfo del conflitto d’interessi. Ma la maggioranza fa quadrato: «È l’uomo giusto».
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Come da pronostico della vigilia, è Paolo Romani (Pdl) il nuovo ministro dello Sviluppo economico. Succede a Claudio Scajola, dimessosi esattamente cinque mesi fa per la vicenda dell’appartamento con vista sul Colosseo. La sua nomina mette fine al lunghissimo interim tenuto dal premier. E anche la data scelta, quella di ieri, ha un suo perché: con la nomina decade di fatto la mozione di sfiducia che le opposizioni avevano presentato alla Camera contro Berlusconi nella sua veste di ministro. Così ieri sera il presidente del Consiglio è salito al Quirinale insieme a Romani per il giuramento. Ha dato vita a un siparietto con il fido Gianni Letta per la gioia dei giornalisti: il premier ha annunciato che stava per raccontare una barzelletta e il suo principale collaboratore lo ha fermato intimandogli un perentorio alt, tra le risate generali. La cerimonia successiva del giuramento, però, ha visto invece volti contratti. E se ufficialmente è stata definita «sobria», nei corridoi dei palazzi è stata bollata come «glaciale». La candidatura di Romani, infatti, non era mai stata vista di buon occhio dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Che aveva espresso in passato e a più riprese dubbi su possibili conflitti d’interesse di Romani, per via del suo passato di manager televisivo, e anche per la sua caratura: molto di uomo di telecomunicazioni (molto vicino agli interessi di Mediaset) e poco di industria. Sul primo punto, è arrivata da parte di Romani la dichiarazione all’antitrust (obbligatoria per i ministri secondo la legge Frattini) di non trovarsi in condizioni di conflitto e altri documenti ufficiali,  di cui gli uffici del Quirinale hanno preso atto e che chiudono, dal punto di vista strettamente formale, la questione. Non così, invece, sul piano politico. Napolitano, evidentemente, ha preferito non insistere, lasciando al premier la responsabilità politica della nomina. Ma di sicuro ha fatto capire ai suoi interlocutori che se il nome era quello di Romani, alla fine non c’era alcun bisogno di attendere tanti mesi per la sua nomina. Anche le scarne parole che Napolitano, che si è presentato all’appuntamento con un lieve ritardo, ha rivolto al neoministro («Auguri, Romani, complimenti) sembrano attestare con evidenza un atteggiamento di contrariato distacco. Napolitano e Berlusconi non si sono nemmeno parlati (la settimana scorsa, però, avevano avuto un lungo colloquio dopo il voto di fiducia al Senato) e il premier si è recato subito al ministero dello Sviluppo economico per il passaggio di consegne con il suo successore. I commenti che vengono dall’opposizione sono tutt’altro che entusiastici e battono con insistenza il tasto del conflitto d’interessi. Il leader Udc Pier Ferdinando Casini è stato molto tagliente: «Avrei preferito – ha detto – Confalonieri». Anche il Pd ha attaccato a testa bassa. Anna Finocchiaro ha definito il neoministro «senz’altro un esperto di politiche della comunicazione, essendo stato editore, dirigente di Mediaset, poi uno dei principali autori della sciagurata legge Gasparri». E ha aggiunto: «Non credo, invece, si intenda molto di vertenze aziendali e di crisi d’impresa, ed è quindi improbabile che riesca a riparare i danni di cinque mesi di sostanziale assenza del governo». Duro anche il capogruppo di Idv alla Camera, Donadi, per il quale il neoministro, chiamato a gestire la banda larga, «non garantisce il necessario equilibrio.Un’altra prova del fatto che Berlusconi pensa solo ai propri interessi». La nomina di Romani è stata invece apprezzata dalla maggioranza. Compresi i finiani che il con ministro Andrea Ronchi parla di «scelta giusta, che rafforza la solidità del governo». Maurizio Gasparri parla di «persona concreta per un incarico impegnativo». E Mario Valducci plaude alla promozione di Romani: «È il giusto premio alla competenza e all’impegno di un uomo da sempre in politica al fianco di Berlusconi».Intanto Cisl e Cgil bussano subito alla porta di Romani. Dice Raffaele Bonanni: il ministro «ci convochi visto che in questi cinque  mesi di crisi c’è stata una totale inattività del governo». E Gugliemo Epifani: «Ci sono 140 tavoli di crisi da risolvere»
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