sabato 16 gennaio 2021
Il senatore ed ex ministro dello Sviluppo economico del quarto governo Berlusconi: non credo si andrà al voto, contano le scadenze per il Recovery plan e il G20. Noi saldamente nel centrodestra.
Paolo Romani

Paolo Romani - ANSA

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Chi siede nel cuore del gruppo Misto al Senato gode di una prospettiva privilegiata sui giorni della crisi. Paolo Romani, ex ministro dello Sviluppo economico del quarto governo Berlusconi, con Gaetano Quagliariello e Massimo Berruti rappresenta la componente Idea-Cambiamo che fa riferimento al governatore ligure Giovanni Toti. Nel centrodestra da non-sovranisti. Romani snocciola con la proverbiale voce calma numeri di cui sembra padrone: «Mi segua. Il plenum - escludendo la presidente Casellati, il presidente emerito Napolitano e il senatore a vita Piano - è 318. Al momento a disposizione del governo ce ne sono 155, forse 156. Iv conta su 18 astenuti, forse 17. La somma delle opposizioni fa 144. Nel Misto ciò che si poteva esplorare si è esplorato: ammesso che i partiti di maggioranza ne abbiano la volontà, potrebbero trovare altri due voti. La mia forbice, se vuole una previsione, è tra 155 e 158».

Fiducia, ma senza quota 161. In pratica, un "limbo" per il Conte II.

Il governo avrebbe una piattaforma debole di senatori e Iv, se regge, conserverebbe uno straordinario potere di condizionamento. Situazioni del genere, in passato, si sono già verificate. Certo non è il meglio che si possa auspicare in una congiuntura di importanti scadenze europee e internazionali, tra la consegna del Pnrr entro il 30 aprile e la presidenza del G20.

I "totiani" sono del tutto indifferenti al richiamo di Conte?

Siamo saldamente ancorati al centrodestra. Tra l’altro, da un po’ di tempo il centrodestra si riunisce, a livello di leader, con una formula allargata che comprende Giovanni Toti. È quindi pienamente legittimata la nostra identità riformista, liberale e popolare. Non ci sono tentazioni di sorta.

Nemmeno se si rischiano le urne?

Non credo si andrà al voto anticipato. Ipotizzando la data del 20 giugno per il voto, le Camere andrebbero sciolte il 15 aprile, proprio mentre il governo sarebbe impegnato nel negoziato finale con l’Europa per il varo del Recovery plan. Non credo si vada in questa direzione.

E allora, con una fiducia risicata al Conte II, dove si andrebbe a parare?

In una situazione e in un Paese normale, Conte dovrebbe prendere atto che non ci sono numeri veri, consegnare le dimissioni e dire al capo dello Stato se è in grado di raccogliere una maggioranza politica. Ma sento che sono altre le correnti di pensiero in Parlamento…

Quali, senatore?

Qualcuno dice che il governo, con l’attuale formazione o comunque rinnovato nella squadra, andrà avanti con le forze politiche che sono rimaste e con i "responsabili" almeno sino a luglio, quando inizierà il semestre bianco. Insomma si consentirebbe a Conte di completare il negoziato con l’Europa sul Pnrr. Un’altra corrente di pensiero prevede che dopo i passaggi parlamentari si apra un tavolo per le larghe intese. E in questo contesto, non temo certo di dirlo, faremmo la nostra parte, daremmo il nostro contributo. Quoto i due scenari al 50%.

Conte può guidare le larghe intese?

Una opzione del genere è nelle mani del presidente della Repubblica. Ma non credo che Conte, dopo aver guidato il governo giallo-verde e quello giallo-rosso, e dopo aver interrotto il dialogo con una forza della sua maggioranza, possa poi gestire un’operazione così complessa.

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