giovedì 15 aprile 2021
Numerose le salme in giacenza. La municipalizzata Ama: le operazioni cimiteriali sono assicurate, intanto procediamo con le altre forme di sepoltura
Troppo morti: cimiteri romani sotto pressione, cremazioni a rilento
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Altro che riposare in pace, a Roma prima c’è una lunga attesa post mortem. Tanto che su certi muri capitolini è appena spuntato un cartello, «Scusa mamma se non riesco a tumularti», che ha fatto affiggere Oberdan: la madre se n’è andata l’ 8 marzo, il corpo è al cimitero Flaminio-Prima Porta, ma ancora nel deposito. A farla breve, da mesi ci sono troppi morti e poche possibilità di cremare quelli che lo chiedono in tempi decenti.

L’acqua alla gola però era cominciata già intorno novembre, tant’è che l’Ama (società che gestisce per Roma Capitale, suo unico socio, raccolta e trattamento dei rifiuti, servizi cimiteriali e decoro urbano) a dicembre aveva noleggiato dieci container, refrigerati, per sistemarci le salme in attesa che non entravano nei depositi. E del resto proprio il mese di novembre c’era stato il botto: i decessi a Roma erano stati 3.940, contro i 2.415 nel novembre 2019, «dato più alto mai raggiunto», aveva spiegato l’Ama, aggiungendo che «stiamo mettendo in campo tute le azioni possibili per assicurare le condizioni più agevoli all’espletamento delle operazioni».

Il nuovo anno andava anche peggio. A fine gennaio la Federcofit ("Federazione comparto funerario italiano") spiegava che i tempi d’attesa arrivavano a 40 giorni («a fronte delle 48 ore a Milano») e che l’Ama non ce la faceva a smaltire le richieste di cremazione «per la mancata manutenzione dei forni e la carenza di personale», col risultato di «depositi pieni di cadaveri in attesa di cremazione e perdita di liquami». La risposta del presidente Ama, Stefano Zaghis, era arrivata a stretto giro: «La pandemia sta compiendo un disastro». Intanto proprio a dicembre il Comune aveva tolto il balzello da 250 euro a carico di chi va a cremare un defunto fuori dal territorio capitolino.

Siamo a ieri, quando l’Ama-Cimiteri capitolini diffonde un comunicato: «Pur avendo privilegiato tutte le forme alternative di sepoltura al fine di ridurre il numero di salme in giacenza per cremazione, sono state effettuate 44 cremazioni presso il crematorio del cimitero Flaminio e accolte tutte le 38 salme portate oggi per essere cremate». Già, perché l’altro ieri aveva avvisato che appunto «per ridurre le salme in giacenza» e per «lo straordinario flusso in entrata negli ultimi giorni, da domani e per i giorni strettamente utili, verranno privilegiate tutte le forme di sepoltura alternativa», sebbene resti «pienamente operativo il forno crematorio». Insomma, «le operazioni cimiteriali nella Capitale vengono assicurate. Non c’è e non ci sarà alcun esaurimento posti».

All’Ama non mostrano gran voglia di spiegare oltre, visto che alla richiesta d’approfondire, la risposta è stata «le inoltriamo i comunicati diramati sul tema» e amen. Però, a far due conti, un po’ di luce s’accende: il Lazio ha un crematorio ogni 1.933 residenti, la Lombardia ogni 833, l’Emilia Romagna ogni 371, Piemonte e Val d’Aosta insieme ogni 297 (dati sempre Federcofit), per esempio. E già questo chiarisce qualcosa. Il resto è nelle parole d’un mese fa del direttore Cimiteri di Ama, Fabrizio Ippolito (23 marzo in Commissione capitolina Trasparenza): «Da ottobre 2020 a febbraio 2021 ci sono stati 4.330 decessi in più rispetto allo stesso periodo 2019/2020», continuasse così, «raggiungeremmo i 38mila decessi a fine anno (33.704 nel 2020, ndr). Numeri spaventosi più o meno direttamente legati al Covid».

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