sabato 29 gennaio 2022
Una notte fuori dal "fortino dell'eroina" alla periferia di Milano, tra chi chiede spiccioli per una dose e chi cerca speranza aggrappandosi a un prete di Morbegno e ai volontari del Cisom
Don Diego e due volontari del Cisom

Don Diego e due volontari del Cisom - Ennio Ferro

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Di notte, davanti alla stazione ferroviaria di Rogoredo, periferia sud-est di Milano, si aggirano fantasmi: dalla strada che fiancheggia i binari sbucano nel buio a passo lento, uno dietro l’altro, nella loro disperata solitudine. Corpi scheletrici, quasi evanescenti che, appena illuminati dalla luce dei lampioni, di fronte alla fermata del metrò, mostrano volti scavati, sguardi assenti, capelli arruffati, mani annerite dal fumo del crack, giacconi sporchi di fango e sangue per i buchi fuori vena.

La notte degli zombie

Fa freddo e una ragazza – uno degli spettri – si muove smarrita con sulle spalle dell’imbottita blu che sette giorni fa gli ha regalato don Diego, il prete che una volta alla settimana viene fin qua, alle porte degli inferi, per mostrare l’amore della Chiesa agli ultimi. Sono gli “zombie” che escono ed entrano dal “fortino della droga”, il famigerato boschetto, la principale piazza di spaccio dell’eroina nel Nord Italia, che ora sembra essersi spostato più in là, verso San Donato Milanese, con tante mini-piazze dove si vende “roba ” a buon mercato: una bustina da un grammo di brown può persino costare solo tre-quattro euro. E non importa se è tagliata con il lattosio, o l’aspirina ridotta in polvere.

Un fantasma nella notte

Un fantasma nella notte - Ennio Ferro

I fantasmi di Rogoredo, chiedono spiccioli ai viaggiatori sulla banchina. E c’è chi fruga nei cestini della spazzatura. Ogni mercoledì, dopo le 20 e fino a notte fonda, escono dalle loro tane uno per volta e si avvicinano al banchetto allestito dal Cisom (Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta) dove sono a loro disposizione panini, biscotti, thé caldo, merendine, brioche. E scaffali con dei libri da portar via. «Saranno forse un centinaio, nei loro rifugi non mangiano, pensano solo a bucarsi, “si fanno” e basta – commenta E. F., volontario del Cisom da 22 anni – e quando vengono qui soddisfano la fame col cibo, e qualcuno si ferma a parlare con noi o farsi curare dal medico della nostra clinica mobile».

L'ambulanza mobile del Cisom

L'ambulanza mobile del Cisom - Ennio Ferro

La storia di Isa

Sembrano vecchi ma avranno 20-30 anni o poco più. Come Isa, un’andina dalla parlata milanese. Era ancora in fasce quando fu adottata da una coppia barese che dal Cile la portò in Italia. Poi la famiglia si trasferì in Lombardia per lavoro. «I problemi per me sono cominciati – racconta – quando i miei genitori si sono separati: mesi d’inferno, ero ancora bambina e a scuola mi bullizzavano per la mia pelle olivastra. Litigavano papà e mamma e io mi nascondevo sotto il tavolo urlando. Un giorno mi arrivò una sedia addosso, me ne volevo tornare in Cile e a 12 anni scappai da casa. Ma a Milano mi innamorai di un ragazzo più grande di me, si bucava e cominciai anch’io. Quando rimasi incinta, a 15 anni – prosegue – ero già sieropositiva all’Aids, mi strapparono dal seno la bambina appena nata e io subì un grave trauma. Nel frattempo mio padre mi ha sempre cercato e aiutato ma soffriva di diabete ed è morto che aveva 60 anni, con mia madre invece non ho mai avuto un buon rapporto, non la vedo da quando sono andata via da casa». Isa, come molti altri tossicodipendenti che vivono nei casolari diroccati o negli anfratti del bosco che comincia da Rogoredo, ha iniziato sniffando cocaina, poi è passata all’eroina e agli alcolici.

«Per comprare la droga mi prostituisco, ma sempre col preservativo. Odio me stessa e quando sono in crisi di astinenza penso “Dio prendimi subito”, stasera gente appena arrivata mi ha cacciato dal capannone dove dormivo e adesso non so cosa fare...». Isa finisce di parlare e va verso il ponte di pietra sotto al quale, attraverso una scala arrugginita, si entra nel bosco degli orrori. C’era stata una bonifica mesi fa per avviare nuovi progetti, ma in poco tempo tutto sembra tornato come prima. Lì, sui gradini che portano oltre la ferrovia, sono seduti due giovani con le siringhe in mano intenti a bucarsi. «Dall’altra parte – ammonisce E. F. – ci potrebbero essere i pusher che vigilano, armati di siringhe, per impedire che qualcun si impicci dei loro affari». Insomma, entrarci è pericoloso.

Il banco dei volontari del Cisom a Rogoredo

Il banco dei volontari del Cisom a Rogoredo - Ennio Ferro

Il prete della speranza

Verso le 21 di fronte al presidio del Cisom arriva un suv nero. Scende un uomo col maglione a strisce e i sandali senza calze. È don Diego Fognini, fondatore della comunità di recupero “La centralina”, alle porte di Dazio, tra le montagne della Valtellina. Fa più di 200 chilometri ogni volta per poter incontrare gli “scarti” che frequentano il bosco e portare loro abiti, coperte, roba da mangiare e speranza cristiana. «Il primo bisogno che hanno è il nostro apprezzamento, dobbiamo imparare ad apprezzarli come persone. Il poco che ci è rimasto per loro è già tanto... Poi si aprono, ma è difficile entrare nel loro mondo e non sempre ci si riesce, perché hanno la testa distrutta dalla droga, io in tre anni ne ho portati via da qui solo 6 o 7, meglio di niente». Così possono uscire dal tunnel della morte.

«Ho visto che la passione per la natura li spinge a vivere e ritrovare se stessi e lassù, sulle montagne di Morbegno, possono coltivare l’orto, allevare animali, contemplare le Alpi, e soprattutto avere amici di cui fidarsi». E come li convince? «Li metto davanti a due piatti: su uno c’è la vita disperata che fanno, sull’altro la possibilità di una felicità che non è solo del mondo, la possibilità di avere una famiglia... Me lo ha insegnato don Antonio Mazzi, questa missione la devo a lui». E Isa? «Più volte mi ha chiesto di darle la benedizione, e io l’ho fatto, ma deve decidersi, e sapere che le nostre porte sono sempre aperte: anche lei ha dentro di sé quella parte bella di Dio che dobbiamo saper scoprire».

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