giovedì 14 gennaio 2021
L’annuncio della ministra Lamorgese: decisione imposta dal regolamento Ue e dalle richieste del garante per la privacy. Ma maternità e paternità non offendono nessuno, neppure i nuclei «arcobaleno»
Genitore 1 e genitore 2 invece di padre e madre sui documenti

Genitore 1 e genitore 2 invece di padre e madre sui documenti - .

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Da una parte la gabbia dei regolamenti europei da cui sembra non si possa sfuggire. Dall’altro la preoccupazione di un politicamente corretto in cui i diritti, più che essere tutelati, diventano enunciati privi di contenuti. Questo combinato disposto ha indotto la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, ad annunciare che sulla carta di identità per i minori di 14 anni o sui moduli di iscrizione a scuola dei bambini verranno cancellati i nomi "madre" e "padre" per tornare agli anonimi "genitore 1" e "genitore 2".

Ennesimo rovesciamento di fronte, dopo gli interventi di Renzi del 2015 – via "padre" e "madre" e avanti con "genitore 1" e "genitore 2" – e di Salvini del 2018 – che aveva deciso esattamente l’opposto – tanto per ribadire che queste battaglie lessicali non sono altro che strumentalizzazioni politiche fini a se stesse. Ridicolo se non offensivo pensare che il concetto e la sostanza di maternità e di paternità possano essere ridimensionati sulla base di una nuova nomenclatura amministrativa. Ma, allo stesso tempo, demagogico illudersi che sia sufficiente allargare il concetto di genitorialità per farvi rientrare chi, almeno sotto l’aspetto giuridico, non può esserlo.

In ogni caso una questione complessa, dal punto di vista antropologico e sostanziale, che non è giusto risolvere con un decreto del Viminale. Né per i genitori biologici, né per chi lo è diventato grazie alla sentenza di un tribunale e avverte, con altrettanta intensità, che la sua maternità o paternità spirituale può comunque risultare preziosa. In entrambi i casi quell’uno e quel due che sembrano rimandare a una classifica di merito o a una sorta di precedenza, appaiono riduttivi e paradossali.

Ma ieri la ministra Lamorgese, al question time alla Camera, ha spiegato che la nuova giravolta è importante «per garantire conformità al quadro normativo introdotto dal regolamento Ue e per superare le problematiche applicative segnalate dal Garante della privacy» sul decreto del 2019.

Non solo: «Il nuovo schema di decreto – ha proseguito – ha già ottenuto il concerto dei ministri di Economia e della pubblica amministrazione ed è in attesa del parere del Garante, a seguito del quale sarà sottoposto alla Conferenza Stato-Città».

Inoltre l’intervento si sarebbe reso necessario perché «il garante della privacy ha rilevato che la dicitura padre e madre nella carta d’identità digitale ha comportato forti criticità, dal punto di vista della di protezione dei dati e della tutela dei minori, nei casi in cui i soggetti che esercitano la responsabilità genitoriale non siano riconducibili alla figura materna o paterna».

Ma anche questa spiegazione nasce da un grosso equivoco. Difficile pensare che l’eventuale tutore si possa sentire offeso da diciture simili al tradizionale "chi ne fa le veci". E, per quanto riguarda i nuclei "arcobaleno", perché parole come "madre" e "padre" che vanno al cuore dell’identità e dell’umanità di ciascuno, al di là degli orientamenti sessuali, dovrebbero risultare problematiche e imbarazzanti? Difficile, se non impossibile, concretizzare un desiderio di genitorialità senza esprimerlo attraverso codici affettivi, educativi, spirituali che rimandano alla maternità o alla paternità.

Una "via mediana" è antropologicamente impercorribile. Dal punto di vista giuridico il quadro, anche per le coppie omosessuali, è abbastanza chiaro. Può esistere un genitore biologico, che la legge naturalmente riconosce. E un altro genitore, padre o madre, che può diventare tale solo in forza dell’articolo 44 dell’attuale legge "184" del 1983, la cosiddetta adozione in casi speciali.

Nel caso di un figlio nato all’estero con la fecondazione eterologa, la Consulta, nella sentenza del 2 ottobre scorso, ha chiarito che soltanto il genitore biologico ha il diritto di essere iscritto all’anagrafe come tale, mentre il cosiddetto "genitore intenzionale" – in quel caso la compagna della madre – non ha alcuna prerogativa costituzionale per pretendere di essere messa sullo stesso piano. E, finché il legislatore non deciderà se e come intervenire sulla questione la questione sembra essere chiara.

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