sabato 13 giugno 2009
Si chiude con un «giallo» la visita del leader di Tripoli a Roma. «Mi assumo la piena responsabilità della decisione» Diffuso il discorso preparato dal presidente della Camera. «I deputati italiani verifichino il rispetto delle garanzie fondamentali nei campi di raccolta degli immigrati».
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Due ore di ritardo e senza alcuna telefonata di spiegazioni alla presidenza della Camera. Dopo aver atteso inutilmente il leader libico Gheddafi a Montecitorio per il conve­gno alla Sala della Lupa Gianfranco Fi­ni ha preso il microfono e ha annuncia­to ai numerosi invitati che non se ne fa­ceva più nulla: «Il ritardo del presiden­te della Jamahiriya libica al presidente della Camera non è stato giustificato. È la ragione per la quale, assumendome­ne la responsabilità e nel pieno ri­spetto di quello che credo sia il ruolo che il Parlamento in una de­mocrazia ha, considero annulla­ta la manifestazione». La comunicazione del presiden­te della Camera, accolta dai pre­senti con un applauso liberatorio, ha rappresentato un punto fermo dopo le bizze e le dichiarazioni provocatorie che hanno costella­to il viaggio in Italia del Colon­nello. Per non pregiudicare i suc­cessi, diplomatici ma soprattutto a livello economico, conseguiti in que­sti giorni di visita, Fini si è assunto fin da subito la piena ed esclusiva responsabi­lità dell’annullamento. Facendo sapere che la decisione è stata comunicata al governo italiano e al Quirinale a giochi fatti e che Berlusconi gli avrebbe mani­festato la sua «piena comprensione». Massimo D’Alema e Beppe Pisanu che, con le loro fondazioni, avevano orga­nizzato la tavola rotonda hanno espres­so subito solidarietà al presidente della Camera. Poi, messisi in contatto con la delegazione libica, hanno diffuso la no­tizia di un malore dello stesso Ghedda­fi e sono corsi ad incontrarlo a Villa Pamphilij. All’uscita della tenda i due e­sponenti politici hanno minimizzato: «Gheddafi si è scusato». Ma la notizia non ha spostato di un millimetro il pre­sidente della Camera: «Non ci risulta al­cun malore», ha fatto sapere lo staff di Fi­ni e comunque «nessuno ci ha chiama­to per avvisarci». Poi la comunicazione, tardiva e al limite della beffa, dell’am­basciata di Tripoli a Roma: il ritardo è stato dovuto alla preghiera islamica del venerdì sera. È ovviamente giallo sui veri motivi del­la defezione del Colonnello, che aveva già fatto aspettare mezz’ora Napolitano al Quirinale e più di un’ora Schifani al Se­nato. Di sicuro, alla Camera avrebbe tro­vato – dopo le sue dichiarazioni Usa u­guale Benladen – un Fini pronto a met­tere anche dei puntini sulle i. E, in effet­ti, il testo dell’intervento che il presi­dente della Camera avrebbe pronun­ciato in presenza del Colonnello – dif­fuso dal suo ufficio stampa – contene­va, in un contesto positivo, che prende­va atto del nuovo corso tra Italia e Libia, almeno tre spigolose messe a punto. La prima proprio sul ruolo americano: «Il negoziato bilaterale – Fini avrebbe det­to a Gheddafi – è stato accompagnato dal nuovo corso della politica estera li­bica, caratterizzato dalla rinuncia pub­blica alle armi di distruzione di massa e dalla condanna del terrorismo interna­zionale, che non è mai alimentato dalle democrazie. Le democrazie, a partire da quella Usa, possono sbagliare, ma cer­to non possono essere paragonate ai ter­roristi». Secondo e delicato punto che il presi­dente della Camera avrebbe messo in chiaro, quello delle condizioni dei clan­destini rinchiusi nei campi libici: «Au­spico che una delegazione di deputati i­taliani possa recarsi presto in visita ai campi libici di raccolta degli immigrati per verificare il rispetto dei diritti fon­damentali dell’uomo sanciti dalle Na­zioni Unite e dal Trattato di Bengasi, con particolare riguardo ai richiedenti asilo e ai perseguitati politici». Terzo punto, un riferimento esplicito ai cittadini italiani espulsi dalla Libia ne­gli anni Settanta, previa confisca di tut­ti i beni personali: «Auspico che gli italiani cattolici ed ebrei che hanno lasciato la Libia costitui­scano una preziosa risorsa per le relazioni bilaterali. Di generazio­ne in generazione essi hanno conservato un sincero attacca­mento per la Libia. Hanno con­tribuito con il loro lavoro alla pro­sperità del Paese e hanno soffer­to pagando responsabilità non loro». Secondo un’ipotesi che cir­cola negli ambienti della Came­ra sarebbe stato proprio il di­scorso prevedibilmente severo di Fini a consigliare a Gheddafi di disertare l’in­contro senza avvisare, in coerenza con la teatralità del personaggio che incar­na. Difficile, dunque, allo stato fare un bi­lancio completo della visita del leader libico in Italia, anche perché i pesanti attacchi di Gheddafi agli Stati Uniti, sui quali Berlusconi non è intervenuto, po­tevano far nascere un caso con l’Ameri­ca proprio alla vigilia del viaggio del pre­mier a Washington per incontrare Oba­ma. Ed è proprio questo che il consi­gliere diplomatico di Palazzo Chigi ha tenuto a smentire con solerzia: ovvero che non c’è alcuna irritazione america­na per l’esito della visita del Colonnello in Italia e che non ci sarà alcun cambia­mento rispetto al programma dell’in­contro Berlusconi-Obama.
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