giovedì 24 marzo 2022
Da Milano a Roma, fino a Torino, le giunte mettono a punto piani per ridurre sprechi negli uffici pubblici, a partire da illuminazione e riscaldamento
Manifestazione contro la guerra in Ucraina a Milano

Manifestazione contro la guerra in Ucraina a Milano - Fotogramma

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Contro il conflitto in Ucraina servono (anche) piccoli e grandi segnali di cittadinanza attiva. Se l’accoglienza dei profughi resta in testa alle priorità dei sindaci italiani, l’altra faccia della mobilitazione nel nostro Paese porta già con sé il peso delle scelte che andranno fatte per dire «no» all’economia di guerra. Scelte simboliche, come quelle di rinunciare a illuminare i monumenti cittadini in determinate fasce orarie. Scelte pratiche e concrete, a partire dall’abbassamento della temperatura negli uffici pubblici. È quella che il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, rispondendo su queste pagine all’ambientalista milanese Paolo Hutter, ha evocato come «una vasta partecipazione attiva, ma non belligerante, alla resistenza» di un popolo. Politiche e gesti dal basso, dunque, destinati a prolungare una mobilitazione iniziata con i cortei per la pace e proseguita con la solidarietà delle comunità verso i profughi.

Il terzo atto, verrebbe da dire, è quello della sobrietà e dei comportamenti critici e responsabili. Meglio ancora se, a promuoverli, saranno proprio i Comuni. Qualcosa si sta già muovendo, va detto. Nei giorni scorsi a Roma, il Campidoglio ha iniziato a stilare un piano di razionalizzazione dei consumi: riscaldamenti abbassati di due gradi e la possibilità di chiuderli 15 giorni prima, insieme alla promozione di una campagna di sensibilizzazione per i cittadini e all’ipotesi già attuata in passato di spegnere la luce su alcuni monumenti. Dalla giunta capitolina, tra l’altro, è stata data l’indicazione sia nelle sedi del Comune che delle società partecipate di utilizzare con rigore le altre fonti di energia, spegnendo tutto al termine dell’orario di lavoro. «Se questa guerra andrà avanti, se la situazione si aggraverà bisognerà arrivare a delle ordinanze.

Ma al momento iniziamo a lavorare sul nostro sistema» ha detto nei giorni scorsi il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, parlando dei provvedimenti che Palazzo Marino ha preso per il risparmio energetico. Un esempio? Abbassare di un grado il riscaldamento negli immobili di sua proprietà, invitando se necessario anche gli esercizi commerciali a fare altrettanto, tenendo spente le luci dopo la chiusura. Sala ne ha parlato con Roberto Gualtieri, primo cittadino di Roma. «Ci stiamo orientando, un po’ tutti i Comuni, a fare la nostra parte». Nulla di obbligatorio, intendiamoci, ma che si possano fare passi concreti nella direzione di un maggior risparmio energetico, lo dimostra anche l’appello lanciato dall’associazione degli amministratori di condominio della Capitale, che ha suggerito di spegnere termosifoni e diffusori di calore per due o tre ore al giorno, nelle ore più calde o quando si è fuori di casa.

Anche Torino sta mettendo a punto un piano ad hoc, che prevede il taglio di circa 20 minuti al giorno di illuminazione pubblica, la riduzione della temperatura di un grado nelle scuole e di due gradi negli altri uffici, il futuro contenimento dell’aria condizionata.

Più in generale, alle richieste di fermare «il ricatto energetico» rilanciate da associazioni come Legambiente, stanno rispondendo diverse amministrazioni, da Nord a Sud, anche se la situazione resta difficile. «L’allarme dei municipi per il rincaro dei costi dell’energia si alza da ogni Comune della nostra Regione – ha detto ad esempio ieri il sindaco di Pordenone, Alessandro Ciriani –. I costi che dobbiamo affrontare rischiano di mettere in ginocchio i bilanci comunali e di aumentare le tariffe dei servizi. I Comuni sono il primo presidio sociale dei cittadini e non vanno indeboliti».

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