giovedì 29 luglio 2021
Intervista al vicepresidente del plenum. «Sulla prescrizione negli anni c’è stata una tela di Penelope. Per l’intesa, ognuno rinunci a mettere bandierine».
David Ermini, vicepresidente del Csm in un'immagine d'archivio

David Ermini, vicepresidente del Csm in un'immagine d'archivio - Ansa

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«È vero, nel parere della sesta commissione sulla riforma penale, su cui oggi il plenum voterà, ci sono tre o quattro valutazioni critiche rispetto al testo in discussione alla Camera, ma lo sono in senso costruttivo...». Seduto nel suo ufficio a Palazzo dei Marescialli, il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, David Ermini, sceglie con cura i termini da adoperare. «Il parere ci è stato richiesto dal ministro. E abbiamo fatto di tutto per discuterlo prima che il disegno di legge vada in Aula, per dare un contributo costruttivo al dibattito parlamentare – puntualizza –. Ecco, quello del Csm intende essere un contributo non emotivo, ma ragionato, sulle criticità della riforma, nel rispetto delle prerogative del Parlamento».

Lei condivide il rischio, segnalato dalla sesta commissione, di «drammatiche ricadute pratiche» del combinato prescrizione-improcedibilità sul lavoro delle Corti d’appello?
Ritengo che possano esserci importanti ricadute pratiche. E i dati contenuti nel parere lo confermano.

Il "rallentamento" sul parere chiesto dal presidente Mattarella vi è servito per ulteriori valutazioni?
Inizialmente il parere era centrato sulla prescrizione, diventata negli anni una tela di Penelope: prima la riforma Orlando, poi la controriforma Bonafede, ora la proposta Cartabia. La prescrizione, è bene tenerlo a mente, è una patologia del sistema: per contrastarla non servono solo paletti di legge, ma tante altre misure e risorse, come l’assunzione di più magistrati e funzionari nei tribunali. Ciò detto, giustamente il presidente della Repubblica ha chiesto di esaminare la riforma penale nel suo insieme. E difatti ci sono altri punti delicati, penso ad esempio alla possibilità che il Parlamento dia criteri generale di priorità nell’azione delle procure...

Intanto, alcuni partiti raccolgono firme per i referendum sulla separazione delle carriere e su altri nodi. Cosa ne pensa?
È uno strumento previsto dalla nostra Costituzione. Ma abroga, non propone. Meglio il lavoro organico del Parlamento, se rapido ed efficace.

Pensa che nel maxi emendamento del governo ci saranno correzioni di sostanza?
Non so se ci sarà un accordo nelle prossime ore o nella prossima settimana. Ma sono speranzoso, confido che le forze politiche riescano a trovare un punto d’incontro. Ognuno deve rinunciare a mettere bandierine: non è solo un problema di percepire i fondi europei del Recovery plan, ma di garantire ai cittadini un "servizio giustizia" migliore, con processi più celeri, pene alternative per carceri meno affollate...

C’è un arretrato di milioni di cause che opprime tribunali e Cassazione. Fra cui spiccano i 115mila ricorsi pendenti dei richiedenti asilo, denunciati dal nostro quotidiano. È possibile rivedere le tabelle dei posti nelle sezioni immigrazione, al momento non adeguate?
Conosciamo il problema, al quale il Consiglio riserva da tempo attenzione. La materia costituisce oggi una sfida fondamentale per la giurisdizione civile.

Torniamo alla riforma penale. Cosa suggerite?
Spetta al legislatore individuare le misure da proporre. Noi ci limitiamo a rendere pareri che possano contribuire a far funzionare la macchina del processo, evitando anomalie.

L’altro parere, quello sulla giustizia civile, invece slitterà a settembre. Perché?
Vedendo che il Senato non se ne occuperà adesso, abbiamo deciso di rinviare anche noi, per questioni tecniche, in modo da esaminare con attenzione la relazione e gli emendamenti collegati.

Veniamo alla riforma del Csm. È sempre più urgente, no?
Non si può più rinviare. Questa consiliatura scadrà l’anno prossimo ed è necessario eleggere il nuovo Csm con nuove regole, cambiando sistema.

Quando scoppiò il caso Palamara, sui rapporti fra correnti delle toghe e politica, in molti chiesero lo scioglimento dell’attuale Csm. Ma lei non fu d’accordo. Perché?
Non aveva senso. Si sarebbe rivotato con gli stessi meccanismi un Csm diverso forse nei componenti, ma espressione del medesimo sistema.

Sono passati due anni, come avete cercato di cambiare?
Lo choc è stato forte, con le dimissioni di diversi consiglieri. Ma ha permesso al Csm e alla magistratura di diventare consapevoli della necessità di un cambiamento. Al Parlamento dico: fatela, questa benedetta riforma. Non è solo questione di correnti, il problema è il carrierismo, ossia quando si usano certi rapporti per raggiungere incarichi.

C’è chi fa notare come la sua nomina, da esponente del Pd poi eletto come "laico" e quindi vicepresidente, sia figlia di intese fra toghe e politica.
Lo è stata perché la Costituzione così prevede. Il vicepresidente, membro non togato, viene espresso da una votazione del Consiglio, a seguito di una convergenza tra componente laica e togata.

Il suo mandato scadrà l’anno prossimo. Quale Csm lascia a chi le succederà?
Spero che sia un Consiglio riformato in meglio. Francamente, in questi tre anni non è stata facile. Prima il caso Palamara, le chat e le intercettazioni; quindi la vicenda Amara... Ringrazio il presidente Mattarella, che non ha mai fatto mancare il suo appoggio, con una fermezza e un senso istituzionale che sono d’esempio.

Presto il caso Palamara e altre vicende andranno a processo. Che aspettative ha?
I processi andranno come dovranno andare e non sarò io a commentarne l’esito.

Basteranno riforme e sentenze per recuperare la fiducia dei cittadini nella magistratura?
Le riforme sono importanti. Al contempo, è necessario che i 9mila magistrati non siano autorefenziali, ma attenti alle esigenze della società. E che dimostrino sempre di essere autonomi e indipendenti.

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