martedì 29 settembre 2009
Il paradossale caso degli edifici con danni più lievi: a chi ha un'abitazione seriamente compromessa spettano alloggi del progetto Case e moduli provvisori in legno, ma per gli altri c'è invece l'onere di affrontare ordinanze poco chiare e dover anticipare i soldi. Un iter enorme quando basterebbe una settimana di lavoro. Ora si teme che in molti lascino la città.
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Meglio avere una casa distrutta. Il paradosso della ricostruzione a­bruzzese è proprio questo; la sfortuna insomma è avere un’abitazione con danni lievi, temporaneamente o par­zialmente inagibile ( A, B e C secondo la classificazione che quantifica i danni), e non gravemente danneggiata ( E ed F). A chi ha un appartamento seriamente compromesso, infatti, spettano gli allog­gi del progetto C. a. s. e. e i moduli abitati­vi provvisori in legno, consegnati da og­gi fino a dicembre, mentre i protagonisti della cosiddetta “rico­struzione leggera” ri­schiano davvero di passare l’inverno lon­tano dalle loro case. Non l’avevano proprio immaginato gli aquila­ni che dopo cinque mesi di tendopoli, so­luzioni provvisorie e sacrifici per riaprire scuole e attività, l’in­granaggio della rico­struzione si sarebbe inceppato proprio su­gli interventi di ripara­zione più semplici del­le abitazioni. Le richie­ste di contributo per la ricostruzione conse­gnate al Comune del­l’Aquila infatti sono so­lo 700, circa il 4,7% del totale, e si ha me­no di un mese di tempo per inoltrarle. I lavori per le case A, B e C non partono certo senza la domanda di rimborso, vi­sto che poi si rischia di pagare gli inter­venti di tasca propria. Negli uffici prepo­sti non si trova la fila che ci si aspette­rebbe, anzi spesso c’è il deserto; e allora dove sono gli aquilani del dopo terremo­to innamorati della propria città e desi­derosi di restarci? Sono in balia della bu­rocrazia, delle ordinanze non chiare che fanno impazzire gli ingegneri, delle riu­nioni di condominio per mettersi d’ac­cordo e, per i pochissimi fortunati che hanno già ottenuto l’ok temporaneo dal Comune, rincorrendo una ditta che for­se non arriverà prima dell’inverno. Ma partiamo dall’inizio. La Protezione civile attraverso le ordinanze a firma del presidente del Consiglio, precisano dal Dipartimento, « ha dato agli aquilani tut­ti gli strumenti per accedere al contribu­to di rimborso, il resto poi è demandato al Comune » . La sola richiesta di inden­nizzo, però, non dà il via in automatico alla possibilità di iniziare i lavori di rico­struzione; si deve infatti attendere 30 giorni perché il Comune conceda « l’ero­gazione del contributo a titolo provviso­rio » . Il problema sta proprio qui; in que­sta fase infatti è possibile far partire gli in­terventi, a rischio e pericolo del privato e della ditta dato che, non essendo pre­visti finanziamenti agevolati preventivi, le imprese o il privato devono anticipare parte dei soldi. Le banche infatti eroga­no la prima tranche del contributo, se­condo l’accordo stipulato dall’Abi con la Cassa depositi e prestiti, solo al termine dell’iter burocratico, cioè passati 60 gior­ni dalla presentazione della domanda. Dopo aver decifrato le ordinanze, atteso luglio per la chiarificazione degli indiriz- zi operativi ed agosto per il prezziario de­gli interventi, bisogna dunque aspettare ancora. « Burocrazia e poca chiarezza nelle ordi­nanze sono alla base dei ritardi negli in­terventi sulle case parzialmente inagibi­li, i cui proprietari rischiano di non po­terci entrare per mesi » . Il sindaco dell’Aquila Massimo Cialente non nasconde la sua preoccupazione per una ricostruzione leggera che va avanti a rilento. « Paradossalmente ora – spiega il primo cittadino – la situazione per chi vi­ve in questo tipo di abitazioni è addirit­tura più difficile rispetto a chi ha la casa inagibile per categoria E o F e che ha di­ritto agli alloggi » . Sul perché gli aquilani an­cora non consegnino le richieste di contri­buto il sindaco, anche lui con una casa B, ha una sua teoria. « La dif­ficoltà è soprattutto data dalla tempistica – aggiunge – visto che i chiarimenti alle ordi­nanze sono usciti tra luglio ed agosto » . Il ti­more, però, è che mol­te persone siano co­strette a lasciare la città perché non ci sono al­loggi, anche in vista dell’imminente chiu­sura delle tendopoli. « Per questo – conclu­de – continuo a chie­dere case mobili; ogni sfollato negli al­berghi costa 1500 euro al mese, con mo­duli abitativi removibili i soldi spesi dal­lo Stato per una famiglia sarebbero am­mortizzati in qualche mese e in più gli a­quilani tornerebbero in città » . La ricostruzione. Agli ingegneri spetta il compito di applicare le ordinanze, defi­nite « poco chiare e lacunose » ; ma non ci stanno a prendersi tutte le responsabi­lità dei ritardi. « I professionisti hanno a­vuto pesanti dubbi interpretavi – preci­sa Paolo De Santis presidente dell’Ordi­ne degli ingegneri dell’Aquila – comun­que una volta compresa la procedura ci vuole tempo per fare rilievi, documenta­zione fotografica e progetti per poter pre­sentare la domanda». Poi un’ipotesi a giu­stificare le poche richieste di rimborso; la popolazione, dice De Santis, ha sì diffi­coltà a procurarsi tutti i documenti ne­cessari, ma « c’è forse anche la volontà di far slittare nel tempo l’inizio della rico­struzione, visto che i soldi veri arrive­ranno Motiva i ritardi con l’impossibilità di con­segnare le domande fino ad agosto infi­ne Pietro De Santis, costruttore e mem­bro dell’Ara, l’associazione per la rico­struzione dell’Aquila; «fino a qualche set­timana fa – sottolinea – non riuscivamo tecnicamente ad applicare le ordinanze, ma ora stiamo lavorando per preparare i progetti e ci vuole tempo; a ciò si ag­giunge anche che alcune ditte non vo­gliono e, in molti casi non possono, an­ticipare i soldi degli interventi: ecco spie­gato l'intoppo».
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